FRANCESCO DI CARLO (Estratto da: http://www.narcomafie.it/sentenza_dellutri.pdf)
Uomo d’onore della famiglia di Altofonte, di cui ha fatto parte fin dagli anni ’60, quando era stato ritualmente affiliato in una casa di sua proprietà in Altofonte, alla presenza del rappresentante di allora, Salvatore La Barbera, oltre che di Ottavio Gioè, suo cugino, e del sottocapo della
famiglia, Girolamo Sollami (v. pagg.19e 20 della trascrizione di udienza ).
Dopo un iniziale periodo in cui era stato tenuto in un certo qual modo “riservato”, a causa dei problemi derivati alla organizzazione criminale dalla prima guerra di mafia, dal 1970 in poi Di Carlo era stato presentato anche agli altri uomini d’onore e nel 1973/74 era stato fatto consigliere della sua famiglia ed in seguito sottocapo.
Tenuto in grande considerazione dal capo-famiglia La Barbera, anche per i rapporti che lo legavano ai Badalamenti e a Stefano Bontate, con il quale aveva stretti legami di amicizia risalenti nel tempo (v. pag. 29 ibidem ), il Di Carlo, per volontà di Salvatore Riina e di Bernardo Provenzano, era stato posto, nel 1976, a capo della famiglia mafiosa di Altofonte, carica che aveva
continuato ad esercitare fino alla fine degli anni ’70 rimanendo poi a disposizione del capo mandamento, Bernardo Brusca.

Il 6 febbraio 1980 Francesco Di Carlo veniva denunciato dai Carabinieri in stato di irreperibilità per i reati di associazione per delinquere, concorso in sequestro di persona, omicidio e traffico di stupefacenti, e il 23 febbraio 1980 veniva raggiunto dal mandato di cattura n.55/80 del G.I. di Palermo; da questa data Di Carlo rimaneva latitante fino al 23 giugno 1985, quando veniva tratto in arresto in Inghilterra ( paese nel quale si era definitivamente trasferito nel 1982, secondo quanto riferito in dibattimento dallo stesso Di Carlo) perché accusato di avere gestito, con altri complici, un grosso traffico internazionale di sostanze stupefacenti e condannato alla pena di 25 anni di reclusione dall’autorità giudiziaria inglese (v. deposizione del m.llo Caruana
Giuseppe all’udienza del 6/4/2000).
Dopo un periodo ininterrotto di detenzione, il 13 giugno 1996 Di Carlo veniva trasferito in Italia e faceva ingresso nel carcere di Rebibbia, N.C.1, iniziando a collaborare con la giustizia .
L’importanza della posizione assunta dal collaborante all’interno del sodalizio mafioso e la sua lunga militanza in esso costituiscono elementi che gli hanno consentito di entrare in possesso di un vasto patrimonio di conoscenze circa i fatti criminali e le vicende interne al sodalizio mafioso
almeno fino agli anni precedenti al suo definitivo trasferimento all’estero e al suo arresto in Inghilterra.
Rispondendo alle domande del PM (v. pag. 315 della trascrizione di udienza), il collaborante ha fatto espressa menzione dei gravissimi omicidi “eccellenti” perpetrati da “cosa nostra”, sui quali ha reso dichiarazioni in altri procedimenti (in particolare, il riferimento è all’iniziale progetto di
uccidere il giudice istruttore Cesare Terranova, all’uccisione dei Procuratori della Repubblica Gaetano Costa e Pietro Scaglione, del giornalista Mario Francese, di Giuseppe Impastato, del Presidente della Regione Piersanti Mattarella, del cap. Emanuele Basile e del col. dei CC Giuseppe Russo, tutti gravissimi fatti criminali che hanno segnato i momenti cruciali della
strategia stragista di “cosa nostra” nell’Isola ).
Risulta, inoltre, dallo stesso controesame della difesa (v. pag. 325 della trascrizione dell’udienza del 2 giugno 1998 ), che, già nel primo verbale del 31 luglio 1996, il Di Carlo aveva riferito anche sui rapporti con “cosa nostra” dell’on.le Giulio Andreotti ( il relativo procedimento, in quegli anni
pendente dinanzi al Tribunale di Palermo, si è concluso solo di recente in Corte di Cassazione), arricchendo ulteriormente il contenuto delle sue132 dichiarazioni nel corso di quel dibattimento (la difesa aveva anche chiesto, al fine di dimostrare la circostanza, di depositare il verbale dell’udienza del 30/10/1996 tenuta in quel processo).
Nel corso del suo lungo esame dibattimentale Di Carlo Francesco, confermando sostanzialmente quanto era stato oggetto delle sue prime dichiarazioni, ha riferito dei buoni rapporti di amicizia intrattenuti nel tempo con l’imputato Gaetano Cinà.
In particolare, ha dichiarato al riguardo : “ A Tanino Cinà l’ho conosciuto, come le dico, tantissimi anni, anche perché io frequentavo la zona di Cruillas e dopo .. anche perché conoscevo
a Benedetto ..Benedetto ..tutti questi nomi là ..Citarda, il vecchio Benedetto Citarda , ed era cognato di Gaetano Cinà, aveva sposato una sorella, poi ho conosciuto il fratello come cosa nostra, io andavo sempre, anche perché a volte mi è capitato molte volte nei primi anni 70 di andare in via Lazio dove questo Citarda aveva dei negozi, che lì dietro c’era una specie di ufficio, e mi incontravo con Peppino Citarda, il capo mandamento, per portarci qualche notizia o per qualche cosa che aveva chiesto o se c’erano riunioni a volte glielo facevo sapere, incaricato io di qualcuno o di Bernardo Brusca, ma di Michele Greco di più. E così frequentavo , ho conosciuto Totò Cinà come cosa nostra, l’ho conosciuto , l’ho visto pure uscire di cosa nostra quando l’avevano messo fuori, ma con Gaetano ci vedevamo, abbiamo preso più amicizia perché ci conoscevamo, ci siamo
frequentati, poi amici suoi erano diventati amici miei o che erano già amici anche di lui, prima e dopo di me o prima di me e anche di lui, insomma, a Palermo conoscevo tantissime persone e conosceva pure Tanino e così ci siamo frequentati molte volte “ .
Proprio per il tramite di Gaetano Cinà, Di Carlo aveva avuto modo di conoscere l’imputato Dell’Utri Marcello, presentatogli amichevolmente dal Cinà nei primi anni ’70 in un bar vicino al negozio gestito dallo stesso Cinà ( il riferimento è al bar del Viale, tradizionale punto di incontro nella città di Palermo negli anni cui ha fatto riferimento il collaborante).
Indiretta conferma della frequentazione di quel locale da parte dell’imputato Cinà ( circostanza che appare ben verosimile per la vicinanza in linea d’aria sia con la la lavanderia sia con il negozio di articoli sportivi di via Archimede, entrambi gestiti dal Cinà), la si rinviene tra le righe della
deposizione di Mangano Vittorio, il quale ha fatto riferimento ad incontri con il Cinà proprio nel bar del Viale, dove erano soliti consumare un caffè (v. interrogatorio del 13 luglio 1998).