Berlusconi Silvio (FI): 2 amnistie (falsa testimonianza P2 e falso in bilancio Macherio); 1 assoluzione dubitativa (corruzione Gdf, falso bilancio Medusa); 1 assoluzione piena (corruzione giudici Sme-Ariosto); 2 assoluzioni per depenalizzazione del reato da parte dello stesso imputato (falsi in bilancio All Iberian, Sme-Ariosto); 8 archiviazioni (6 per mafia e riciclaggio, 2 per concorso in strage); 6 prescrizioni (finanziamento illecito a Craxi con All Iberian; falso in bilancio Macherio; falso in bilancio e appropriazione indebita Fininvest; falso in bilancio Fininvest occulta; falso in bilancio Lentini; corruzione giudiziaria Mondadori); 3 processi in corso: Telecinco (falso bilancio, frode fiscale, violazione antitrust spagnola), caso Mills (corruzione giudiziaria), diritti Mediaset (appropriazione indebita, falso bilancio, frode fiscale), Saccà (corruzione); 1 indagine in corso (istigazione alla corruzione di alcuni senatori).

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La tessera P2 di Silvio Berlusconi



PAROLE CHIAVI: P2, LICIO GELLI

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GOVERNI PRESIEDUTI DA SILVIO BERLUSCONI:
Governo Berlusconi I (dal 10 maggio 1994 al 17 gennaio 1995)
Governo Berlusconi II (dall' 11 giugno 2001 al 23 aprile 2005)
Governo Berlusconi III (costituito il 23 aprile 2005 all'indomani della crisi politica derivante dalla sconfitta alle elezioni regionali del 2005 e rimasto in carica fino al 17 Maggio 2006)
Governo Berlusconi IV (in carica dall'8 Maggio 2008)

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Craxi salva Sua Emittenza Berlusconi - Rapporti tra Mafia e Berlusconi


Le clips sopra fanno riferimento al documentario francese intitolato "SUA MAESTA' SILVIO BERLUSCONI", prodotto in Francia dalla Capa press Tv Paris e mai trasmesso attraverso la TV italiana.
Nella prima parte di video viene spiegato come Craxi, tramite il cosidetto "decreto Berlusconi", riesca a salvare le frequenze dei canali Fininvest di Silvio (suo amico, infatti Craxi è stato suo testimone di nozze e padrino di battesimo di Barbara Berlusconi).

Nel secondo spezzone è presente l'intervista al giudice Antonio Ingroia (allievo di Paolo Borsellino), che in quel periodo conduceva l'inchista tra la mafia siciliana ed il gruppo Berlusconi.
Il documentario completo può essere visionato ai seguenti links:
(VIDEO 1), (VIDEO 2)


PAROLE CHIAVI: DECRETO BERLUSCONI, CESARE PREVITI, FRANCESCO DI CARLO, VITTORIO MANGANO, MARCELLO DELl'UTRI, BANCA RASINI

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DECRETO BERLUSCONI (Articolo completo di relative fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Silvio_Berlusconi)
>>Le televisioni nazionali<<
La creazione di un gruppo di canali televisivi appariva di fatto in contrasto con la legge in vigore e con le sentenze della Corte costituzionale che, sin dal 1960 (n. 59/1960), aveva mostrato il suo orientamento in materia. Un tema ripreso anche dal più recente pronunciamento del 1981, dove veniva riaffermata la mancanza di costituzionalità nell'ipotesi di permettere ad un soggetto privato il controllo di una televisione nazionale, considerando questa possibilità, visti gli spazi limitati a disposizione, come una lesione al diritto di libertà di manifestazione del proprio pensiero, garantito dall'articolo 21 della Costituzione.

Tre pretori da Roma, Milano e Pescara (tra cui Giuseppe Casalbore) intervennero nel 1984, disponendo - in base al codice postale dell'epoca - il sequestro nelle regioni di loro competenza del sistema che permetteva la trasmissione simultanea nel Paese dei tre canali televisivi. In conseguenza di ciò e per protesta, le emittenti Fininvest interessate dal provvedimento apposero sul video un messaggio, rinunciando ad una programmazione canonica.

Dopo quattro giorni, il governo di Bettino Craxi, intervenne direttamente nella questione aperta dalla magistratura emanando un decreto legge in grado di rimettere in attività il gruppo. Ma il Parlamento, invece di convertirlo in legge, lo rifiutava in quanto incostituzionale, permettendo alla magistratura di riprendere l'azione penale contro Fininvest. Craxi varò quindi un nuovo decreto, ponendolo al Parlamento tramite la questione di fiducia e ottenendone l'approvazione. La Corte Costituzionale esaminò la legge solo tre anni dopo, mantenendola in vigore, ma sottolineandone la dichiarata transitorietà.
...

L'approvazione del provvedimento fu da alcuni giustificata nella stretta e mai celata amicizia tra Bettino Craxi e Silvio Berlusconi (Craxi è stato testimone di nozze al matrimonio tra Berlusconi e Veronica Lario e padrino di battesimo di Barbara Berlusconi). Secondo altri, invece, il disegno di modernizzazione del Paese del segretario socialista passava per lo scardinamento del monopolio culturale che - attraverso la RAI - la Democrazia cristiana esercitava sulla programmazione radiotelevisiva nazionale; l'oligopolio a cui si giunse, però, probabilmente non corrispondeva alla ratio con cui la Corte costituzionale nel 1976 (invocando l'articolo 21 della Costituzione) aveva ammesso a latere della concessionaria pubblica un sistema plurale di molteplici reti, distribuite sul territorio a livello esclusivamente locale. Il rapporto con Craxi fu documentato nell'archivio dell'ex-presidente del Consiglio in cui fu trovata anche una lettere a firma di Berlusconi:
« Caro Bettino grazie di cuore per quello che hai fatto. So che non è stato facile e che hai dovuto mettere sul tavolo la tua credibilità e la tua autorità. Spero di avere il modo di contraccambiarti. Ho creduto giusto non inserire un riferimento esplicito al tuo nome nei titoli-tv prima della ripresa per non esporti oltre misura. Troveremo insieme al più presto il modo di fare qualcosa di meglio. Ancora grazie, dal profondo del cuore. Con amicizia, tuo Silvio. »



Nel 1990 con la legge Mammì si tornava a legiferare in materia e veniva stabilito che non si poteva essere proprietari di più di tre canali, senza l'introduzione, però, di limiti che compromettessero l'estensione assunta televisivamente dalle reti di Berlusconi. L'approvazione della legge rinnovava forti polemiche e cinque ministri del Governo Andreotti si dimisero per protesta. Berlusconi, essendo state decise anche norme volte a impedire posizioni dominanti contemporaneamente nell'editoria di quotidiani, venne costretto a cedere le proprie quote della società editrice del Giornale, vendendole al fratello Paolo Berlusconi.

Nel 1994 una nuova sentenza della Corte (la n. 420) dichiarava incostituzionale parte della legge, richiamando la necessità di porre limiti più stretti nella concentrazione di possedimenti in campo mediatico.

Berlusconi continua, quindi, ad operare nel settore tramite l'azienda Mediaset (nata nel 1995, dallo scorporo delle attività televisive della Fininvest), con concessioni a valenza transitoria.

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CESARE PREVITI (Articolo completo di relative fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Previti)
Cesare Previti (Reggio Calabria, 21 ottobre 1934) è un avvocato e politico italiano. Ha ricoperto la carica di ministro per il Governo Berlusconi I. Condannato nel 2006 per il processo IMI-SIR, attualmente si trova in affidamento ai servizi sociali.
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>>Biografia<<
Nato in Calabria, è cresciuto a Roma, dove diviene avvocato.

Previti collabora presto con Silvio Berlusconi e, essendo amministratore della piccola orfana nobile lombarda Casati Stampa, nel 1974 favorisce la cessione di villa San Martino ad Arcore allo stesso Berlusconi.

In seguito Previti lavora per Fininvest, guadagnando la reputazione di avvocato molto efficiente.

Nel 1994, da esponente di Forza Italia, Previti diviene senatore e Berlusconi, ottenuto l'incarico di formare un governo, tenta di farlo nominare Ministro di Grazia e Giustizia, ma trova l'opposizione del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, quindi Berlusconi lo propone per il Ministero della Difesa, carica che Previti ottiene e conserva dal maggio al dicembre 1994 (e per interim fino al gennaio 1995).

Eletto deputato alla Camera, sempre per Forza Italia, nel 1996 e nel 2001, si trova al centro di un numero crescente di vicende giudiziarie relative a illeciti commessi in qualità di avvocato di Fininvest. È stato nuovamente proclamato deputato della Repubblica Italiana il 21 aprile 2006 in seguito alla sua elezione nella circoscrizione XV (Lazio 1) per Forza Italia. Il 31 luglio del 2007, la Camera dei Deputati si riunisce per discutere la relazione della Giunta delle elezioni nella quale si proponeva di annullare, per motivi di ineleggibilità sopravvenute (in seguito alla condanna per il processo IMI-SIR di interdizione perpetua dai pubblici uffici), l'elezione del deputato Previti. Durante il dibattito Previti comunica in extremis di voler rassegnare le proprie dimissioni. L'assemblea ha sospeso l'esame della proposta della Giunta delle elezioni per discutere ed accogliere con voto segreto le dimissioni.

Dal 29 agosto 2007, Previti, può svolgere servizi sociali anziché stare agli arresti domiciliari per la disposizione del tribunale di sorveglianza di Roma. Come attività potrà svolgere il servizio di consulente legale al Centro italiano di solidarietà (Ceis) dalle 7 alle 23.

>>L'affare "Villa S. Martino" ad Arcore<<
Nel 1973 Silvio Berlusconi acquista da Annamaria Casati Stampa di Soncino, ereditiera minorenne della nota famiglia nobiliare lombarda rimasta orfana nel 1970, la settecentesca Villa San Martino ad Arcore, con quadri d'autore, parco di un milione di metri quadrati, campi da tennis, maneggio, scuderie, due piscine, centinaia di ettari di terreni. La Casati è assistita da un pro-tutore, l'avvocato Cesare Previti, che è pure un amico di Berlusconi, figlio di un suo prestanome (il padre Umberto) e dirigente di una società del gruppo (la Immobiliare Idra). Grazie alla fortunata coincidenza, la favolosa villa con annessi e connessi viene pagata circa 500 milioni dell'epoca: un prezzo irrisorio (secondo alcuni corrispondente a meno di un terzo di valore del mercato, secondo Previti invece un giusto prezzo, considerata la necessità di provvedere al restauro di alcune parti dello stabile). Per giunta, il pagamento non avviene in contanti, ma in azioni di alcune società immobiliari non quotate in borsa, così che, quando la ragazza si trasferisce in Brasile e tenta di monetizzare i titoli, si ritrova con una carrettata di carta. A quel punto, Previti e Berlusconi offrono di ricomprare le azioni, ma alla metà del prezzo inizialmente pattuito.

Una sentenza del Tribunale di Roma, nel 2000, ha assolto gli autori del libro "Gli affari del presidente", che raccontava l'imbarazzante transazione.

>>Processo SME<<
Nel 2000 Previti, candidato per Forza Italia, viene messo sotto inchiesta per la corruzione di giudici del tribunale di Roma nel 1985, per far rigettare i ricorsi giudiziari del gruppo CIR nell'ambito della vicenda SME, i quali se accolti avrebbero danneggiato la cordata composta da Barilla, Ferrero e Fininvest.

Il 22 novembre 2003, dopo molti rinvii (comunque ininfluenti nel computo della prescrizione), il processo giunge alla sentenza di primo grado, in cui Previti viene condannato a 5 anni di reclusione, a fronte di una richiesta da parte dell'accusa di 11 anni.

Il 2 dicembre 2005 la Corte d'Appello di Milano emette la sentenza di secondo grado, riconoscendolo colpevole di corruzione semplice e confermando la condanna di primo grado a 5 anni di reclusione.

Infine, il 30 novembre 2006 la Corte Suprema di Cassazione annulla entrambe le precedenti sentenze di merito relative al processo SME emesse dal tribunale di Milano, per incompetenza territoriale, ritenendo la commissione del fatto corruttivo verificatosi in Roma. Viene quindi disposto il trasferimento degli atti al tribunale di Perugia competente a giudicare i reati di competenza ordinaria del tribunale di Roma nei quali siano però coinvolti magistrati della capitale; peraltro, essendo il termine di prescrizione fissato per aprile 2007 è molto probabile che il processo verrà dichiarato prescritto.

>>Processo IMI-SIR<<
La sentenza di primo grado, emessa dalla IV sezione penale del Tribunale di Milano il 29 aprile 2003 lo ha riconosciuto colpevole.

Il 4 maggio 2006 la Cassazione esprime il verdetto definitivo, condannando Previti a 6 anni di detenzione per l'accusa di corruzione nell'ambito del processo IMI-SIR.

Il giorno successivo, Previti afferma di essersi dimesso dalla carica di parlamentare e si presenta al carcere di Rebibbia, dove viene recluso. Il 10 maggio, dopo soli 5 giorni di carcere, ottiene la detenzione domiciliare, usufruendo della legge ex-Cirielli (detta anche salva-Previti), varata dal governo Berlusconi in carica, secondo la quale non è prevista la detenzione negli istituti carcerari per un ultrasettantenne, purché non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza né sia stato mai condannato.

La sentenza di Cassazione relativa al processo SME, che ha riconosciuto l'incompetenza territoriale del tribunale di Milano, nasce da presupposti identici a quelli del processo IMI-SIR, che prese origine dallo stesso fascicolo. Dunque tale sentenza potrebbe avere ripercussioni anche sulla vicenda IMI-SIR.

>>Liceità della carica di deputato<<
In base alla sentenza di primo grado del processo IMI-SIR, Previti è stato condannato all'interdizione perpetua dai pubblici uffici[4], pena accessoria lasciata intatta dalla sentenza d'appello e confermata in via definitiva il 4 maggio 2006 dalla VI sezione della Corte di Cassazione.

Poiché il deputato Previti, al mese di luglio 2007, non ha mai presentato le sue dimissioni, è stato riconosciuto compito della Camera deliberare sulla sua deposizione dalla carica di deputato. Il 9 luglio 2007 la giunta per le elezioni della Camera, con il voto contrario dei rappresentanti dell'opposizione, ha approvato la proposta di decadenza, da sottoporre entro 20 giorni al voto dell'aula per la decisione finale.

La proposta di decadenza era in calendario per essere votata il 31 luglio del 2007, ma prima che la votazione avesse inizio, il deputato forzista Elio Vito ha letto una dichiarazione di Previti che annunciava le proprie dimissioni. A questo punto la Camera dei Deputati non ha più votato la decadenza del deputato, ma le sue dimissioni; queste sono state accettate con 462 voti favorevoli, 66 voti contrari e 6 astenuti.

>>Processo lodo Mondadori<<
Il 13 luglio 2007, la II sezione penale della Cassazione ha reso definitiva la condanna ad un anno e sei mesi per Cesare Previti, ed altri imputati, comminata in secondo grado. Questa sentenza stabilisce in modo definitivo che la sentenza del 14 gennaio del 1991 con cui la Corte di appello di Roma (relatore ed estensore della sentenza il giudice Vittorio Metta, anche lui condannato) dava la maggioranza della Mondadori a Silvio Berlusconi era frutto di corruzione. La sentenza di appello del processo Mondadori a carico di Previti, confermata dalla Cassazione, dice esplicitamente che il Cavaliere aveva “la piena consapevolezza che la sentenza era stata oggetto di mercimonio”. Del resto, “la retribuzione del giudice corrotto è fatta nell’interesse e su incarico del corruttore”, cioè di Silvio Berlusconi. Il denaro adoperato per la corruzione proviene dal conto All Iberian, che, secondo i suoi stessi avvocati, era un conto personale di Berlusconi. Berlusconi, nel processo per il lodo Mondadori era stato prescritto avendo ottenuto le attenuanti generiche, ma il reato era stato costatato, né lo stesso Silvio Berlusconi aveva deciso di rinunciare alla prescrizione per essere assolto nel merito. A seguito di questa sentenza l'imprenditore Carlo De Benedetti, a cui la sentenza di Metta portò via la Mondadori, ha annunciato che chiederà il risarcimento di un miliardo di euro.

>>Altri procedimenti giudiziari<<
L'11 dicembre 2006 viene stabilita la data di un nuovo processo per calunnia a carico di Previti e di Giacomo Borrione, presidente del Comitato Nazionale per la Giustizia (organismo vicino a Forza Italia in Umbria). La vicenda riguarda una querela rivolta dai due presso il tribunale di Brescia contro i magistrati del tribunale di Milano, accusandoli di aver nascosto prove dell'innocenza di Silvio Berlusconi e altri imputati per la vicenda "toghe sporche". In seguito all'indagine risultata nel proscioglimento dei magistrati, è stata disposta l'apertura di un fascicolo a carico di Previti e Borrione per il reato di calunnia, che ha portato al rinvio a giudizio di Previti con sentenza del Gip Eliana Genovese in data 16 novembre 2007.

>>Vita privata<<
È sposato dal 1982 in seconde nozze con Silvana Pompili ex attrice, che suole chiamarsi Silvana Panfili.

Il 29 ottobre 2007 il sito del quotidiano La Repubblica pubblica l'audio delle intercettazioni delle telefonate tra Cesare Previti e il presidente della Lazio Claudio Lotito: senza giri di parole l'ex avvocato di Silvio Berlusconi si lamenta per lo scarso utilizzo del figlio nelle giovanili biancocelesti riservando epiteti coloriti tanto ai membri dello staff quanto ai giovani portieri colpevoli di giocare al posto di Umberto.

Il tenore della conversazione è riassunto da due spezzoni. Il primo: «Mio figlio viene mortificato ormai da un anno e io mi sono rotto il c... Te lo dico molto su di giri... Sono laziale come patto d'onore con Dio e nelle tue giovanili giocano i raccomandati di papà"».Ed ancora «"Questo non te lo consento"», quasi urla l'avvocato con Lotito, «"faccio un casino, ci faccio una conferenza stampa sopra".» E il secondo: interrogato da Lotito su chi sia il titolare al posto del figlio, Previti risponde: «Luciano, Luciani, Apollo, che ne so, uno alto e grosso, tecnicamente non vale un cazzo perché è solo grosso e fregnone e mi fijo s’è fatto mezzo campionato de panchina… ’na cosa inaccettabile sul piano morale!» Nella terza telefonata, all'ennesima lamentela di Previti, Lotito chiede spiegazioni al generale Coletta e poi tranquillizza il politico di Forza Italia: "Tuo figlio lo fanno giocare nei play off". Nella quarta si parla d'altro, visto che Umberto Previti è tornato titolare in porta (e lo scorso settembre è entrato nelle liste dei convocati in Champions per la prima squadra). Previti nella quarta conversazione avverte piuttosto Lotito che gli è stato chiesto un incontro con Paolo Arcivieri, uno dei capi degli Irriducibili, e un uomo di Alessandra Mussolini. «"Mi sembrano appecoronati"», dice Previti. Ma Lotito lo mette in guardia: «"Stanne alla lontana che poi quelli ti ricattano"».

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FRANCESCO DI CARLO (Estratto da: http://www.narcomafie.it/sentenza_dellutri.pdf)
Uomo d’onore della famiglia di Altofonte, di cui ha fatto parte fin dagli anni ’60, quando era stato ritualmente affiliato in una casa di sua proprietà in Altofonte, alla presenza del rappresentante di allora, Salvatore La Barbera, oltre che di Ottavio Gioè, suo cugino, e del sottocapo della
famiglia, Girolamo Sollami (v. pagg.19e 20 della trascrizione di udienza ).
Dopo un iniziale periodo in cui era stato tenuto in un certo qual modo “riservato”, a causa dei problemi derivati alla organizzazione criminale dalla prima guerra di mafia, dal 1970 in poi Di Carlo era stato presentato anche agli altri uomini d’onore e nel 1973/74 era stato fatto consigliere della sua famiglia ed in seguito sottocapo.
Tenuto in grande considerazione dal capo-famiglia La Barbera, anche per i rapporti che lo legavano ai Badalamenti e a Stefano Bontate, con il quale aveva stretti legami di amicizia risalenti nel tempo (v. pag. 29 ibidem ), il Di Carlo, per volontà di Salvatore Riina e di Bernardo Provenzano, era stato posto, nel 1976, a capo della famiglia mafiosa di Altofonte, carica che aveva
continuato ad esercitare fino alla fine degli anni ’70 rimanendo poi a disposizione del capo mandamento, Bernardo Brusca.

Il 6 febbraio 1980 Francesco Di Carlo veniva denunciato dai Carabinieri in stato di irreperibilità per i reati di associazione per delinquere, concorso in sequestro di persona, omicidio e traffico di stupefacenti, e il 23 febbraio 1980 veniva raggiunto dal mandato di cattura n.55/80 del G.I. di Palermo; da questa data Di Carlo rimaneva latitante fino al 23 giugno 1985, quando veniva tratto in arresto in Inghilterra ( paese nel quale si era definitivamente trasferito nel 1982, secondo quanto riferito in dibattimento dallo stesso Di Carlo) perché accusato di avere gestito, con altri complici, un grosso traffico internazionale di sostanze stupefacenti e condannato alla pena di 25 anni di reclusione dall’autorità giudiziaria inglese (v. deposizione del m.llo Caruana
Giuseppe all’udienza del 6/4/2000).
Dopo un periodo ininterrotto di detenzione, il 13 giugno 1996 Di Carlo veniva trasferito in Italia e faceva ingresso nel carcere di Rebibbia, N.C.1, iniziando a collaborare con la giustizia .
L’importanza della posizione assunta dal collaborante all’interno del sodalizio mafioso e la sua lunga militanza in esso costituiscono elementi che gli hanno consentito di entrare in possesso di un vasto patrimonio di conoscenze circa i fatti criminali e le vicende interne al sodalizio mafioso
almeno fino agli anni precedenti al suo definitivo trasferimento all’estero e al suo arresto in Inghilterra.
Rispondendo alle domande del PM (v. pag. 315 della trascrizione di udienza), il collaborante ha fatto espressa menzione dei gravissimi omicidi “eccellenti” perpetrati da “cosa nostra”, sui quali ha reso dichiarazioni in altri procedimenti (in particolare, il riferimento è all’iniziale progetto di
uccidere il giudice istruttore Cesare Terranova, all’uccisione dei Procuratori della Repubblica Gaetano Costa e Pietro Scaglione, del giornalista Mario Francese, di Giuseppe Impastato, del Presidente della Regione Piersanti Mattarella, del cap. Emanuele Basile e del col. dei CC Giuseppe Russo, tutti gravissimi fatti criminali che hanno segnato i momenti cruciali della
strategia stragista di “cosa nostra” nell’Isola ).
Risulta, inoltre, dallo stesso controesame della difesa (v. pag. 325 della trascrizione dell’udienza del 2 giugno 1998 ), che, già nel primo verbale del 31 luglio 1996, il Di Carlo aveva riferito anche sui rapporti con “cosa nostra” dell’on.le Giulio Andreotti ( il relativo procedimento, in quegli anni
pendente dinanzi al Tribunale di Palermo, si è concluso solo di recente in Corte di Cassazione), arricchendo ulteriormente il contenuto delle sue132 dichiarazioni nel corso di quel dibattimento (la difesa aveva anche chiesto, al fine di dimostrare la circostanza, di depositare il verbale dell’udienza del 30/10/1996 tenuta in quel processo).
Nel corso del suo lungo esame dibattimentale Di Carlo Francesco, confermando sostanzialmente quanto era stato oggetto delle sue prime dichiarazioni, ha riferito dei buoni rapporti di amicizia intrattenuti nel tempo con l’imputato Gaetano Cinà.
In particolare, ha dichiarato al riguardo : “ A Tanino Cinà l’ho conosciuto, come le dico, tantissimi anni, anche perché io frequentavo la zona di Cruillas e dopo .. anche perché conoscevo
a Benedetto ..Benedetto ..tutti questi nomi là ..Citarda, il vecchio Benedetto Citarda , ed era cognato di Gaetano Cinà, aveva sposato una sorella, poi ho conosciuto il fratello come cosa nostra, io andavo sempre, anche perché a volte mi è capitato molte volte nei primi anni 70 di andare in via Lazio dove questo Citarda aveva dei negozi, che lì dietro c’era una specie di ufficio, e mi incontravo con Peppino Citarda, il capo mandamento, per portarci qualche notizia o per qualche cosa che aveva chiesto o se c’erano riunioni a volte glielo facevo sapere, incaricato io di qualcuno o di Bernardo Brusca, ma di Michele Greco di più. E così frequentavo , ho conosciuto Totò Cinà come cosa nostra, l’ho conosciuto , l’ho visto pure uscire di cosa nostra quando l’avevano messo fuori, ma con Gaetano ci vedevamo, abbiamo preso più amicizia perché ci conoscevamo, ci siamo
frequentati, poi amici suoi erano diventati amici miei o che erano già amici anche di lui, prima e dopo di me o prima di me e anche di lui, insomma, a Palermo conoscevo tantissime persone e conosceva pure Tanino e così ci siamo frequentati molte volte “ .
Proprio per il tramite di Gaetano Cinà, Di Carlo aveva avuto modo di conoscere l’imputato Dell’Utri Marcello, presentatogli amichevolmente dal Cinà nei primi anni ’70 in un bar vicino al negozio gestito dallo stesso Cinà ( il riferimento è al bar del Viale, tradizionale punto di incontro nella città di Palermo negli anni cui ha fatto riferimento il collaborante).
Indiretta conferma della frequentazione di quel locale da parte dell’imputato Cinà ( circostanza che appare ben verosimile per la vicinanza in linea d’aria sia con la la lavanderia sia con il negozio di articoli sportivi di via Archimede, entrambi gestiti dal Cinà), la si rinviene tra le righe della
deposizione di Mangano Vittorio, il quale ha fatto riferimento ad incontri con il Cinà proprio nel bar del Viale, dove erano soliti consumare un caffè (v. interrogatorio del 13 luglio 1998).

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VITTORIO MANGANO (Articolo completo di relative fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Mangano)
Vittorio Mangano (Palermo, 18 agosto 1940 – Palermo, 23 luglio 2000) è stato un criminale italiano legato a Cosa Nostra, conosciuto - attraverso le cronache giornalistiche che hanno seguito le vicende processuali che lo hanno visto coinvolto - con il soprannome di lo stalliere di Arcore.
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>>Biografia<<
Fu indicato al maxiprocesso di Palermo, sia da Tommaso Buscetta che da Totò Contorno, come uomo d'onore appartenente a Cosa Nostra, della famiglia di Pippo Calò, il capo della famiglia di Porta Nuova (della quale aveva fatto parte lo stesso Buscetta).

Condannato per lesioni personali, truffa, ricettazione, assegni a vuoto, porto abusivo di coltello. Fu stalliere (con funzioni di amministratore) nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi, nella quale visse, tra il 1973 e il 1975, circa 2 anni. Era stato proposto per quell'incarico da Marcello Dell'Utri. Il 28 novembre 1986 un attentato dinamitardo alla villa milanese creò danni alla cancellata esterna e Berlusconi parlando al telefono con Dell'Utri accusò Mangano[2], che in realtà si trovava in carcere in Sicilia a scontare una condanna.

Il nome di Mangano viene citato per la prima volta dal Procuratore della Repubblica Paolo Borsellino in una intervista rilasciata il 19 maggio 1992 riguardante i rapporti tra mafia, affari e politica, due mesi prima di essere ucciso nell'attentato di via d'Amelio. Borsellino affermò nell'intervista che Mangano era "uno di quei personaggi che ecco erano i ponti, le teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord Italia".

Il 19 luglio 2000 Mangano fu condannato all'ergastolo per il duplice omicidio di Giuseppe Pecoraro e Giovambattista Romano, quest'ultimo vittima della "lupara bianca" nel gennaio del 1995. Di questo secondo omicidio Mangano sarebbe stato l'esecutore materiale. Verrà inoltre sospettato di aver rapito il principe Luigi D'Angerio dopo una cena alla villa di Silvio Berlusconi, il 7 dicembre 1974.

Il pentito Salvatore Cancemi divulgò la notizia che la compagnia Fininvest di Berlusconi, attraverso Marcello Dell'Utri e Mangano, pagò a Cosa Nostra 200 milioni di lire (100.000 euro) annualmente e in base agli accordi presi con Cancemi.

Mangano, malato di tumore, morì pochi giorni dopo la sentenza, il 23 luglio 2000, in carcere, dove risiedeva già da cinque anni per reati per cui era stato precedentemente condannato (traffico di stupefacenti, estorsione).

L'8 aprile 2008 Marcello Dell'Utri durante un’intervista ha suscitato molte polemiche definendo Mangano un uomo che fu "a suo modo un eroe" perché, a suo dire, pur malato terminale di tumore si rifiutò di inventare dichiarazioni contro Berlusconi o lo stesso Dell'Utri nonostante i benefici che ciò avrebbe potuto portargli. Il giorno dopo (9 aprile) lo stesso Berlusconi durante la trasmissione "Omnibus" su La7 sostiene questa tesi commentando: "Marcello Dell'Utri ha ragione: Mangano è stato un eroe, perché eroicamente non inventò mai nulla su di me e per uscire di galera gli sarebbe bastato accusarmi di qualunque cosa", posizione ribadita poi intervenendo a 28 MINUTI, trasmissione di RadioDue dello stesso giorno.

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MARCELLO DELL'UTRI (Articolo completo di relative fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Marcello_Dell%27Utri)
Marcello Dell'Utri (Palermo, 11 settembre 1941) è un politico italiano. Si è dimesso dalla carica istituzionale di Senatore della Repubblica eletto nelle file di Forza Italia in seguito alla condanna in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Collabora attivamente con la formazione politica Il Popolo della Libertà.
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>>Biografia<<
Conseguita la maturità classica a Palermo, compie dal 1961 a Milano gli studi universitari laureandosi in giurisprudenza presso l'Università Statale. Qui conosce Silvio Berlusconi. Nel 1964, a 23 anni, lavora come segretario per Berlusconi, che sponsorizza il Torrescalla, piccola squadra di calcio di cui Dell'Utri è allenatore.

Successivamente (1965) si trasferisce a Roma, dove dirige per un paio di anni il Gruppo Sportivo ELIS nel quartiere Tiburtino - Casal Bruciato, presso il Centro internazionale per la gioventù lavoratrice, nato nel 1964 per volontà di Papa Giovanni XXIII e gestito dall'Opus Dei.

Torna poi (1967) a Palermo, dove opera di nuovo come direttore sportivo, presso l'Athletic Club Bacigalupo; durante questa esperienza, per sua esplicita ammissione, conosce Vittorio Mangano e Gaetano Cinà.

Dopo tre anni (1970) inizia a lavorare per la Cassa di Risparmio delle province siciliane a Catania e l'anno seguente (1971) viene trasferito alla filiale di Belmonte Mezzagno. Dopo due anni (1973) viene promosso alla direzione generale della Sicilcassa a Palermo, servizio di credito agrario.

L'anno seguente (1974) torna a Milano per lavorare presso l'Edilnord, su richiesta di Silvio Berlusconi, per il quale svolge anche la mansione di segretario; segue in particolare i lavori di ristrutturazione della villa di Arcore, dopo che Berlusconi l'ha acquistata ad un prezzo di favore dalla marchesina Annamaria Casati Stampa (di cui Cesare Previti era il tutore legale).

Il 7 luglio porta nella villa di Arcore Vittorio Mangano che viene assunto da Berlusconi nel ruolo di stalliere. Mangano è un giovane mafioso, divenuto successivamente esponente di spicco del clan di Porta Nuova a Palermo, e in quel periodo ha già a suo carico 3 arresti e varie denunce e condanne, nonché una diffida risalente al 1967 come "persona pericolosa". Dopo l'arresto di Mangano sia Berlusconi che Dell'Utri hanno dichiarato ai carabinieri di non essere a conoscenza delle sue attività criminali.

Il 24 ottobre 1976 Dell'Utri si trova insieme a Vittorio Mangano e ad altri mafiosi alla festa di compleanno del boss catanese Antonino Calderone, al ristorante "Le Colline Pistoiesi" di Milano.

Nel 1977 si dimette da Edilnord e viene assunto alla Inim di Rapisarda, che ha relazioni con personalità di spicco della mafia quali Ciancimino e i Cuntrera-Caruana. Diventa poi amministratore delegato della Bresciano Costruzioni, che dopo pochi anni va in bancarotta fraudolenta.

Nel 1980 la Criminalpol di Milano, nell'ambito di un'indagine di droga, intercetta una telefonata tra Mangano e Dell'Utri. In questa telefonata, divenuta celebre, Mangano parla di un "cavallo" e propone a Dell'Utri di entrare nell'affare. Il defunto giudice Borsellino aveva affermato in un'intervista:
« Sì, tra l'altro questa tesi dei cavalli - che vogliono dire droga - è una tesi che fu avanzata alla nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta al dibattimento, tanto è che Mangano fu condannato al dibattimento del maxi processo per traffico di droga. »


Tuttavia, nella fattispecie, non emersero nel corso del processo a Dell'Utri elementi sufficienti a stabilire se il cavallo, di cui Mangano parlava al telefono, fosse un cavallo vero o se si trattasse di droga.

Il 19 aprile dello stesso anno è a Londra, dove partecipa al matrimonio di Girolamo Maria Fauci, più comunemente chiamato Jimmy Fauci, boss mafioso che gestisce il traffico di droga fra Italia, Gran Bretagna e Canada. Nel 1982 inizia come dirigente la sua attività in Publitalia '80, la società per la raccolta pubblicitaria della Fininvest, di cui diventa Presidente e Amministratore Delegato. Un anno dopo (1983), nell'ambito di un blitz di arresti compiuti a Milano contro la mafia dei casinò, viene trovato nella residenza del boss mafioso catanese Gaetano Corallo. Nel 1984 viene promosso ad amministratore delegato del gruppo Fininvest.

Nel 1992 (gennaio-febbraio) Vincenzo Garraffa, ex senatore del Partito Repubblicano Italiano e presidente della Pallacanestro Trapani, riceve la visita del boss trapanese Vincenzo Virga (poi latitante e condannato per omicidio oggi in carcere): «Mi manda Dell'Utri», dice il boss venuto a riscuotere un presunto credito in nero preteso da Dell'Utri. L'episodio, denunciato da Garraffa, è stato accertato dal tribunale di Milano, che nel maggio 2004 ha condannato Dell'Utri e Virga a 2 anni per tentata estorsione in primo grado, e confermando la condanna in appello nel 2007.

Nel 1993 fonda Forza Italia insieme a Silvio Berlusconi. Nel 1996 è deputato al Parlamento nazionale, dal 1999 è parlamentare europeo e nelle elezioni politiche del 2001 viene eletto (nel collegio 1 di Milano) Senatore della Repubblica.

Nel 1995 viene arrestato a Torino con l'accusa di aver inquinato le prove nell'inchiesta sui fondi neri di Publitalia.

Nell'aprile 1996, mentre è imputato a Torino per false fatture e frode fiscale e indagato a Palermo per Mafia, Dell'Utri diventa deputato di Forza Italia in Parlamento.

Nel 1999 viene condannato definitivamente - sentenza passata in giudicato - per frode fiscale e false fatture con una pena di 2 anni e 3 mesi di reclusione. Nello stesso anno viene eletto parlamentare europeo e nel 2001 Senatore della Repubblica. Come senatore ha ricoperto, tra le altre, la carica di Presidente della Commissione per la Biblioteca del Senato, di cui attualmente è membro.

È presidente della Fondazione Biblioteca di via Senato e della Fondazione Il Circolo del Buon Governo. Nel 1999 fonda la rete nazionale di associazioni culturali Il Circolo, nati con l'intento di essere un'area di libero scambio del pensiero liberale e giunti ad avere più di 3000 sedi distribuite su tutto il territorio nazionale e nel 2001 è membro del comitato scientifico che organizza la settima edizione della "Città del libro", rassegna nazionale degli editori, a Campi Salentina (Lecce).

Nel 2002 fonda il settimanale di cultura "Il Domenicale", direttore Angelo Crespi, di cui è tuttora l'editore.

L'8 febbraio 2007 Letizia Moratti, sindaco di Milano, lo nomina direttore artistico del prestigioso Teatro Lirico, provocando le proteste inferocite di Vittorio Sgarbi.

L'11 febbraio 2007 Dell'Utri annuncia di aver ricevuto dai figli di un partigiano deceduto (di cui si rifiuta di rivelare il nome) cinque presunti diari manoscritti da Benito Mussolini, contenenti appunti dal 1935 al 1939. Alcuni storici come Francesco Perfetti si esprimono in favore dell'autenticità, altri come Giovanni Sabatucci, Valerio Castronovo e Denis Mack Smith si esprimono al riguardo con scetticismo. Pochi giorni più tardi L'Espresso annuncia che uno studio smentirebbe l'autenticità dei diari.

Nel 10 settembre 2007 entra nel consiglio d'amministrazione del gruppo editoriale E Polis, che pubblica 15 quotidiani free-press in tutta Italia e diventa presidente della concessionaria di pubblicità, denominata Publiepolis spa. Nel febbraio 2008 dopo appena cinque mesi, si dimette in maniera irrevocabile da entrambi gli incarichi.

Nel 2007 è stato il senatore più assente: 673 assenze su 1637 (41,1%).

A pochi giorni dalle elezioni politiche del 2008, in un'intervista rilasciata a Klaus Davi, afferma che Vittorio Mangano è stato «un eroe, a modo suo» perché, mentre era in carcere (dal 1995 al 2000 - anno di morte - per molteplici reati), avrebbe rifiutato - nonostante ripetute pressioni - di fare dichiarazioni contro di lui e Silvio Berlusconi in cambio della scarcerazione. Nel corso della stessa intervista dichiara anche che «se eletto farà di tutto per avviare la revisione dei libri di storia», a cominciare dal periodo della Resistenza.

>>False fatture e frode fiscale<<
Condannato in Cassazione per false fatture e frode fiscale a due anni e tre mesi di reclusione (patteggiando la pena ed usufruendo dello sconto di pena pari ad un terzo) a Torino.

>>Tentata estorsione<<
È stato condannato in primo grado a Milano a due anni di reclusione per tentata estorsione ai danni di Vincenzo Garraffa (imprenditore trapanese), con la complicità del boss Vincenzo Virga (trapanese anche lui). Il 15 maggio 2007 la terza corte d'appello di Milano conferma la condanna a due anni.
« (...). È significativo che Dell'Utri, anziché astenersi dal trattare con la mafia (come la sua autonomia decisionale dal proprietario ed il suo livello culturale avrebbero potuto consentirgli, sempre nell'indimostrata ipotesi che fosse stato lo stesso Berlusconi a chiederglielo), ha scelto, nella piena consapevolezza di tutte le possibili conseguenze, di mediare tra gli interessi di Cosa nostra e gli interessi imprenditoriali di Berlusconi (un industriale, come si è visto, disposto a pagare pur di stare tranquillo) »


Il 10 Aprile 2008 il PG della Cassazione ha chiesto l'annullamento, con rinvio, della condanna a 2 anni inflitta al parlamentare Marcello Dell'Utri, ritenendo "inutilizzabili" alcune dichiarazioni accusatorie. La Corte di Cassazione, II sezione penale, accoglie la richiesta, annullando la sentenza di appello con rinvio ad altra sezione.

>>Concorso esterno in associazione mafiosa<<

  • Le indagini iniziano nel 1994 con le prime rivelazioni che confluiscono nel fascicolo 6031/94 della Procura di Palermo.
  • Il 9 maggio 1997 il gip di Palermo rinvia a giudizio Dell'Utri, e il processo inizia il 5 novembre dello stesso anno.
  • In data 11 dicembre 2004, il tribunale di Palermo ha condannato Marcello Dell'Utri a nove anni di reclusione con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il senatore è stato anche condannato a due anni di libertà vigilata, oltre all'interdizione perpetua dai pubblici uffici e il risarcimento dei danni (per un totale di 70.000 euro) alle parti civili, il Comune e la Provincia di Palermo.

Nel testo che motiva la sentenza si legge:
« La pluralità dell'attività posta in essere da Dell'Utri, per la rilevanza causale espressa, ha costituito un concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa nostra, alla quale è stata, tra l'altro offerta l'opportunità, sempre con la mediazione di Dell'Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell'economia e della finanza, così agevolandola nel perseguimento dei suoi fini illeciti, sia meramente economici che politici. »


>>Calunnia pluriaggravata<<
Imputato a Palermo per calunnia aggravata ai danni di alcuni pentiti, è stato successivamente assolto dopo che in primo grado era stato condannato a 9 anni. Secondo l'accusa avrebbe organizzato un complotto con dei falsi pentiti per screditare dei veri pentiti che accusavano lui ed altri imputati. Per questa accusa, il gip di Palermo dispose l'arresto (per un'azione, come giudicò poi il tribunale d'appello in via definitiva, mai avvenuta) di Dell'Utri nel 1999, ma il Parlamento lo bloccò.

Il giudici della quinta sezione di Palermo hanno assolto Marcello Dell'Utri, «per non avere commesso il fatto» in base all'art. 530, secondo comma del codice di procedura penale, dall'accusa di calunnia aggravata, era stato accusato di aver organizzato una combine con alcuni pentiti, per screditare tre collaboratori di giustizia che lo accusavano nel processo per concorso esterno in associazione mafiosa.

La Procura aveva chiesto una condanna di 7 anni.

>>Lapsus sulla sua vicenda giudiziaria<<
Durante l'intervista rilasciata a Moby Dick l'11 marzo 1999 Marcello dell'Utri ha affermato:
« Come disse giustamente Luciano Liggio, se esiste l'antimafia vorrà dire che esiste pure la mafia. Io non sto né con la mafia, né con l'antimafia. Almeno non con questa antimafia che complotta contro di me attraverso pentiti pilotati. »


ed in conclusione di programma fece una gaffe:
« è chiaro che io, purtroppo, essendo mafioso...cioè, essendo siciliano.. »(VIDEO)

Su questo fatto il pentito Giusto Di Natale, affermò durante il processo a Dell'Utri (1 marzo 2004):
« Diciamo che a quel tempo eravamo in carcere e tutti si aspettavano una bella uscita del dottore Dell'Utri. Dopo l'intervista - che è andata male perché... o almeno così pensavano in carcere che aveva fatto una figuraccia con quei lapsus freudiani e con il dire allora che lui non sapeva se esisteva la mafia- l'indomani, quando si stava cercando di commentare questa situazione, insomma, si era sparsa la voce che a nessuno era permesso di commentare quell'intervista. [...] questa situazione arrivò dai Galattolo, se non sbaglio c'era pure il dottore Guttauro (Giuseppe Guttadauro, boss di Brancaccio). »

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BANCA RASINI (Articolo completo di relative fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Banca_Rasini)
La Banca Rasini era una piccola banca milanese, nata negli anni '50 ed inglobata nella Banca Popolare di Lodi nel 1992. Il motivo principale della sua fama odierna è che tra i suoi clienti principali si annoveravano i criminali Pippo Calò, Totò Riina, Bernardo Provenzano (al tempo, uomini guida della Mafia) e l'imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi, il cui padre Luigi Berlusconi ivi lavorava come funzionario. Le dichiarazioni di Michele Sindona sulla Banca Rasini, la fanno citare più volte da Nick Tosches, un giornalista del New York Times, nel suo libro I misteri di Sindona, e l'hanno resa nota tra gli studiosi internazionali che si occupano della storia della Mafia italiana.
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>>Storia<<
La Banca Rasini Sas di Rasini, Ressi & C. viene fondata all'inizio degli anni '50 dai milanesi Carlo Rasini, Gian Angelo Rasini, Enrico Ressi, Giovanni Locatelli, Angela Maria Rivolta e Giuseppe Azzaletto. Il capitale iniziale è di 100 milioni di lire. Sin dalle sue origini la banca è un punto di incontro di capitali lombardi (principalmente quelli della nobile famiglia milanese dei Rasini) e palermitani (quelli provenienti da Giuseppe Azzaletto, uomo di fiducia di Giulio Andreotti in Sicilia).

Nel 1970 Dario Azzaletto, figlio di Giuseppe, diviene socio della banca. Sempre nel 1970, il procuratore della banca Luigi Berlusconi ratifica un'operazione destinata ad avere un peso nella storia della Rasini: la banca acquisisce una quota della Brittener Anstalt, una società di Nassau legata alla Cisalpina Overseas Nassau Bank, nel cui consiglio d'amministrazione figurano nomi destinati a divenire tristemente famosi, come Roberto Calvi, Licio Gelli e Michele Sindona.

Nel 1973 la Banca Rasini diviene una S.p.a., ed il controllo passa dai Rasini agli Azzaletto. Il Consiglio di Amministrazione della Banca Rasini S.p.a. è costituito da Dario e Giuseppe Azzaletto, Mario Ungaro (avvocato romano e noto amico di Michele Sindona e Giulio Andreotti), Rosolino Baldani e Carlo Rasini. Ma nel 1974, nonostante l'ottima situazione finanziaria della Banca Rasini (che nell'ultimo anno aveva guadagnato oltre un quarto del suo capitale), Carlo Rasini lascia la banca fondata dalla sua famiglia, dimettendosi anche dal ruolo di consigliere. Secondo gli analisti, le ragioni delle dimissioni di Carlo Rasini sono da cercarsi nella sua mancanza di fiducia verso il resto del Consiglio di Amministrazione, e degli Azzaletto in particolare.

Sempre nel 1974, Antonio Vecchione diviene Direttore Generale, ed in soli dieci anni il valore della banca esplode, passando dal miliardo di lire nel 1974 al valore stimato di circa 40 miliardi di lire nel 1984.

Il 15 febbraio 1983 la Banca Rasini sale agli onori della cronaca, per via dell'"Operazione San Valentino". La polizia milanese effettua una retata contro gli esponenti di Cosa Nostra a Milano, e tra gli arrestati figurano numerosi clienti della Banca Rasini, tra cui Luigi Monti, Antonio Virgilio e Robertino Enea. Si scopre che tra i correntisti miliardari della Rasini vi sono Totò Riina e Bernardo Provenzano. Anche il direttore Vecchione e parte dei vertici della banca vengono processati e condannati, in quanto emerge il ruolo della Banca Rasini come strumento per il riciclaggio dei soldi della criminalità organizzata.

Dopo il 1983, Giuseppe Azzaletto cede la banca a Nino Rovelli. Nino Rovelli è un imprenditore (noto soprattutto per la vicenda Imi-Sir) e non ha esperienza nel settore bancario. Nelle inchieste tuttora in corso sulla Banca Rasini, Nino Rovelli è spesso considerato un uomo che ha coperto la vera dirigenza della banca fino al 1992. Tuttavia, non esistono evidenze al riguardo, né ipotesi sui nomi dei veri amministratori della Banca.

Nel 1992 la Banca Rasini viene inglobata nella Banca Popolare di Lodi, ma è solo nel 1998 che la Procura di Palermo mette sotto sequestro tutti gli archivi della banca. I giudici di Palermo, anche a seguito delle rivelazioni di Michele Sindona (intervista del 1985 ad un giornalista americano, Nick Tosches) e di altri "pentiti", indicano la stessa banca Rasini come coinvolta nel riciclaggio di denaro di provenienza mafiosa. Tra i correntisti della banca figurava anche Vittorio Mangano, il mafioso che lavorò come fattore nella villa di Silvio Berlusconi dal 1973 al 1975.

>>Legami con la mafia<<
La Banca Rasini deve la sua fama tra gli studiosi della storia d'Italia soprattutto alle dichiarazioni di Michele Sindona del 1984. Quando il giornalista del New York Times, Nick Tosches, chiese a Sindona (poco prima della misteriosa morte di quest'ultimo): «Quali sono le banche usate dalla mafia?». Sindona rispose: «In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in Piazza dei Mercanti». L'unica banca presente a Piazza dei Mercanti, al tempo, era inequivocabilmente la Banca Rasini.

In effetti, le indagini successive alla retata dell'Operazione San Valentino dimostrarono ampiamente il ruolo della Banca Rasini nel riciclaggio dei soldi della mafia, ed i contatti dell'istituto coi più alti vertici mafiosi. Il Commissario di Polizia Calogero Germanà ha ipotizzato che l'istituto, al pari della Banca Sicula di Trapani, fosse uno dei centri per il riciclaggio del denaro sporco di Cosa Nostra.

>>Legami con la famiglia Berlusconi<<
Tra i personaggi famosi con cui la Banca Rasini ebbe dei legami va citato l'imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi. Il padre di Silvio Berlusconi, Luigi Berlusconi fu prima un impiegato alla Rasini, quindi procuratore con diritto di firma, ed infine assunse un ruolo direttivo all'interno della stessa. La Banca Rasini, e Carlo Rasini in particolare, furono i primi finanziatori di Silvio Berlusconi all'inizio della sua carriera imprenditoriale. Silvio e suo fratello Paolo Berlusconi avevano un conto corrente alla Rasini, così come numerose società svizzere che possedevano parte della Edilnord, la prima compagnia edile con cui Silvio Berlusconi iniziò a costruire la sua fortuna.

La Banca Rasini risulta anche nella lista di banche ed istituti di credito che gestirono il passaggio dei finanziamenti di 113 miliardi di lire (equivalenti ad oltre 300 milioni di euro nel 2006) che ricevette la Fininvest, il gruppo finanziario e televisivo di Berlusconi, tra il 1978 ed il 1983. L'origine mafiosa dei finanziamenti è certa, nonostante il complesso sistema di società holding attraverso cui essi passarono.

Il giornale inglese The Economist cita ripetutamente la Banca Rasini nel suo noto reportage su Silvio Berlusconi, sottolineando come, ad avviso dei recensori del reportage, Berlusconi abbia effettuato transazioni illecite per mezzo della banca. È stato invece accertato che Silvio Berlusconi ha registrato presso la banca ventitré holding come negozi di parrucchiere ed estetista. Anche per fare chiarezza su questi fatti nel 1998 l'archivio della banca è stato messo sotto sequestro.

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Citizen Berlusconi


"Citizen Berlusconi" è un documentario approfondito su Silvio Berlusconi trasmesso per la prima volta in USA dal programma "Wide Angle" tramite la maggiore emittente televisiva pubblica americana (Public Broadcasting Service).
Censurato in Italia, prende in esame e racconta con cura il passato di Berlusconi, i processi giudiziari, la salita al potere, il controllo sulla Rai con la sostituzione del CDA dopo la sua vittoria del 2001, l'eliminazione dei soggetti a lui scomodi (editto bulgaro), leggi vergogna (depenalizzazione falso in bilancio, legge Gasparri, legge ex-Cirielli, detta anche salva-Previti, lodo Schifani per il blocco dei processi penali in corso per le cinque più alte cariche dello Stato ecc..).


PAROLE CHIAVI: LEGGI VERGOGNA/AD PERSONAM, PROCESSI GIUDIZIARI

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LEGGI VERGOGNA/AD PERSONAM (Articolo completo con relative fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_ad_personam)
>>Legislatura XIV<<
Berlusconi II e III sono state approvate numerose leggi che hanno sollevato aspre critiche in quanto ritenute leggi ad personam.

Tali contestazioni hanno affermato che la maggioranza di centrodestra abbia ricorso a tale espediente per alleggerire la posizione processuale di Berlusconi stesso. Tra le tante, è stato rilevato come le seguenti abbiano ridotto le pendenze giudiziarie o abbiano in qualche modo conflitto con gli interessi del presidente del Consiglio:

  • la depenalizzazione del falso in bilancio (legge n. 61/2002)
  • la legge sulle rogatorie (legge n. 367/2001)
  • l'introduzione del divieto di sottoposizione a processo delle cinque più alte cariche dello Stato tra le quali il presidente del Consiglio in carica ("Lodo Schifani", 140/2003), mai entrata in vigore in quanto dichiarata incostituzionale
  • la "legge Cirami" sul legittimo sospetto (Legge n. 248/2002)
  • la riduzione della prescrizione (che cancellava gran parte dei fatti oggetto di contestazione nel processo sui diritti TV verso Berlusconi) ("Legge ex-Cirielli", 251/2005)
  • l'estensione del condono edilizio alle zone protette (comprensiva la villa "La Certosa" di proprietà di Berlusconi) (legge delega 308/2004)
  • il ricorso del governo contro la legge della regione Sardegna al divieto di costruire a meno di due chilometri dalle coste (che bloccava, tra l'altro, l'edificazione di "Costa Turchese", insediamento di 250.000 metri cubi della Edilizia Alta Italia di Marina Berlusconi) (Ricorso n. 15/2005 alla legge regionale 8/2004)
  • la modifica del Piano di assetto idrogeologico (PAI) dell'Autorità di bacino del fiume Po che permette la permanenza de "la Cascinazza" (estensione di oltre 500.000 metri quadrati) di proprietà della IEI di Paolo Berlusconi ( P.A.I. Piano di Assetto Idreogeologico del 2001)
  • l'introduzione dell'inappellabilità da parte del pubblico ministero per le sole sentenze di proscioglimento (DL n. 3600)
  • la legge Gasparri sul riordino del sistema radiotelevisivo e delle comunicazioni (Legge 112/2004)
  • la norma transitoria della Legge 90/2004 che consentì a Gabriele Albertini, sindaco di Milano non più rieleggibile, di essere candidato alle elezioni europee senza dover dare le dimissioni da sindaco (Legge 90/2004)

Alcuni esperti di diritto hanno anche definito "legge ad coalitionem" la legge elettorale del 2006 (scritta dall'allora ministro Roberto Calderoli, che lui stesso poi definirà "porcata",ndr) che, data la morfologia delle formazioni politiche all'atto delle elezioni governative, si riteneva dovesse permettere ai partiti della coalizione di centrodestra di ottenere un numero di seggi fortemente superiore rispetto a quanto sarebbe avvenuto con la precedente normativa, ma che in realtà non ha avuto altro effetto se non quello di alimentare la disgregazione.

>>DEPENALIZZAZIONE DEL FALSO IN BILANCIO, PRESCRIZIONE E LEGGE GASPARRI<<
Estratto da "La Repubblica"(Fonte: http://www.repubblica.it/online/politica/falsobilancio/decreto/decreto.html)
ROMA - Avevano un anno di tempo. Fino al 3 ottobre del 2002. Invece il governo, e in particolare il ministero della Giustizia (con Roberto Castelli ministro della giustizia,ndr), ha bruciato le tappe. Solo tre mesi di lavoro. Non solo: sui dodici articoli della legge delega per la riforma del diritto societario, oggi il consiglio dei ministri farà diventare operative, e quindi immediatamente applicabili ai processi in corso, le nuove regole che riguardano il falso in bilancio. Che, a differenza delle pene previste dalle vecchie regole e dal vecchio codice, sarà ampiamente depenalizzato e punito soprattutto con sanzioni amministrative. Se ne gioverà anche il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che, da imprenditore, è sotto processo a Milano proprio per questo reato.
Il caso Lentini e la seconda tranche dell'affaire All Iberian, che sono entrambi in primo grado; l'inchiesta sui bilanci consolidati della Finivest dal '90 al '96 che è ancora nella fase dell'udienza preliminare.
Tutto questo, dopo la riunione di stamattina a palazzo Chigi, è destinato a diventare solo un vecchio film, faldoni da archiviare, un pezzo di storia politico-giudiziaria. Ma non più processi con tanto di sentenze di condanna o di assoluzione.

Dopo il caso Brambilla e l'invio a Milano, per l'inaugurazione dell'anno giudiziario, del capo degli ispettori di via Arenula, il Guardasigilli Roberto Castelli compie un'altra mossa, a suo avviso più che logica e del tutto priva di possibili letture dietrologiche, che invece è inevitabilmente destinata a inasprire il clima nei palazzi di giustizia e a elevare il livello dello scontro con le toghe milanesi impegnate nei processi contro il Cavaliere. Non si tratta neppure di un'iniziativa a sorpresa se è vero, come sostiene il sottosegretario alla Giustizia Michele Vietti (Ccd), che "il testo del decreto legislativo era già pronto prima di Natale e quindi avrebbe anche potuto essere approvato prima delle feste".
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Estratto da "DIRITTI & DIRITTI-portale giuridico"(Fonte: http://www.diritto.it/materiali/commerciale/barone.html

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Ne discende che in considerazione dei ristrettissimi termini di prescrizione, indirettamente, determinati dalla riforma, e della previsione di una querela come condizione di procedibilità, non è azzardato concludere che di fatto si è proceduto ad una sostanziale depenalizzazione dei reati societari, in contrasto con l’orientamento comunitario che impone un maggiore rigore per garantire la verità dei bilanci e quindi la sicurezza del sistema economico.

Se si aggiunge che per i casi in cui è prevista la condizione di procedibilità della querela non si comprende quali amministratori provvederanno a presentarla nel termine di 90 giorni prescritto dal codice di rito, ben si comprende che il legislatore del 2001 ha sostanzialmente estratto dall’area della sfera penale le condotte fraudolente degli amministratori di società. Infatti è abbastanza arduo ritenere che gli stessi autori del reato si autodenunzino, ed anche nel caso di cambio al vertice della società, i nuovi amministratori potranno proporre querela soltanto quando avranno scoperto la frode dei loro predecessori, dunque diversi anni dopo dal giorno in cui il reato è stato commesso, con conseguente approssimarsi del termine per la sua prescrizione.

Come se ciò non bastasse si è inteso modificare anche la parte dei reati fallimentari nel seguente modo:

mentre con il disegno di legge c.d. Fassino, sempre all’art. 11 testualmente si prescriveva: “g) riformulare le norme sui reati fallimentari che richiamano reati societari, prevedendo che la pena si applichi alle sole condotte integrative di reati societari che concorrono a cagionare il dissesto della società;” nella nuova formulazione si modifica il testo eliminandosi queste ultime parole e sostituendole con le seguenti : “che abbiano cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società”.

In tal modo si passa da una punibilità per le condotte che siano idonee, insieme ad altre cause, al provocare lo stato di insolvenza, alla ipotesi in cui la pena si applica solo nel caso di prova dell’effettiva sussistenza del rapporto di causa ed effetto tra il comportamento fraudolento degli amministratori ed il dissesto della società amministrata.

Viene così ulteriormente ridotto l’ambito di applicazione delle norme penali in materia economica, con buona pace per il controllo, nell’interesse pubblico, delle attività imprenditoriali.

La dottrina più autorevole e la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione hanno da sempre ritenuto che la previsione dei reati societari mira alla tutela di una pluralità di interessi, da quelli patrimoniali della società, dei soci e dei creditori ad avere una rappresentazione veritiera delle condizioni economiche della società, a quelli generali della fede pubblica e del corretto funzionamento delle società commerciali, in considerazione della loro rilevanza nel sistema economico valutato complessivamente (Cass. 13.12.1983, Schmidt).

Il professore Francesco Antolisei, considerato un nume tutelare del diritto penale sostanziale, aveva avuto modo di precisare che il reato di falso in bilancio, previsto non come reato di danno ma di pericolo, garantiva la tutela di un fascio complesso di interessi, e segnatamente, oltre quelli della società, dei soci uti singuli e dei creditori, anche e soprattutto “l’interesse generale dell’economia del paese, per le ripercussioni che sull’economia stessa può avere il funzionamento delle società di commercio” (v. Antolisei, Manuale di diritto penale pag. 48), e nei medesimi termini si era espresso il Tribunale di Milano in occasione del famoso processo a carico di Sergio Cusani.

La modifica legislativa in esame che trasforma il reato in questione da reato di pericolo (perseguibile a prescindere dall’esistenza di un danno) a reato di danno (punibile solo nel caso di prova del danno medesimo), aggiunto alla riduzione delle pene e dei termini di prescrizione, di fatto sconvolge tutti i principi del diritto penale dell’economia (di origine liberale e capitalistica) affermati dai nostri codici da oltre un secolo (V. codice del commercio del 1889 al codice civile del 1942).

Sarebbe opportuno avviare un dibattito teso a sollecitare il Legislatore ad una immediata rimeditazione di una riforma sicuramente pericolosa per il nostro sistema economico, che affida ai bilanci delle imprese un particolarissimo ruolo di trasparenza per le contrattazioni commerciali.


Estratto da "Il Corriere della Sera"(fonte: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/01_Gennaio/11/cirielli.shtml)
Caso Mediaset, i legali del Cavaliere ipotizzano l'applicazione della norma
«Ex Cirielli anche per Berlusconi»
La difesa del premier richiama, «in via residuale», la legge sulla prescrizione
MILANO — «Dalla legge ex Cirielli non trarrei alcun beneficio», aveva sempre assicurato il premier Silvio Berlusconi nel travagliato iter della legge che ha drasticamente accorciato i termini di prescrizione di molti reati e modificato la continuazione tra reati. Ma la sua difesa tecnica sembra muoversi diversamente e non disdegnare di far valere la legge, in via «soltanto residuale», nell'udienza preliminare milanese sulla compravendita dei diritti tv Mediaset. E pur ribadendo di puntare a dimostrare la «totale estraneità» del premier alle accuse (fino al 1999) di appropriazione indebita di almeno 270 milioni di dollari, falso in bilancio e frode fiscale per 124 miliardi di lire, la difesa di Berlusconi ha messo le mani avanti per il prosieguo dell'udienza e rimarcato che della norma vi potrebbe già essere «immediata applicazione».
È accaduto tre udienze fa, senza clamori ma attraverso un calibrato inciso in un intervento in aula dell'avvocato Niccolò Ghedini, il 14 dicembre scorso. L'udienza preliminare, infatti, in corso ormai da ottobre e ancora nella fase delle questioni procedurali, come tutte le udienze preliminari si svolge a porte chiuse davanti a un giudice, e le cronache possono quindi seguirla soltanto attraverso sintesi e spunti riferiti a fine giornata dagli avvocati dei 14 indagati e dai magistrati, ovviamente ciascuno secondo i propri punti di vista. Solo a distanza di tempo vengono man mano depositate alle parti le trascrizioni integrali delle udienze registrate. Ed è ora proprio da queste trascrizioni che si scopre un passaggio completamente sfuggito quel 14 dicembre, prima udienza utile da quando era entrata in vigore la legge ex Cirielli.
È il difensore dell'imputato Giorgio Vanoni, già responsabile del comparto estero del gruppo Fininvest, a introdurre l'argomento. E non è un caso: tutti gli indagati (compreso Berlusconi) si gioverebbero dei nuovi termini di prescrizione propiziati dalla legge ex Cirielli (che cancellerebbe gran parte dei fatti oggetti di contestazione, lasciando in piedi solo quelli relativi al 1999), ma Vanoni è l'unico indagato che ne verrebbe completamente prosciolto. A questo scopo, la sua difesa chiede di produrre documentazione per dimostrare che Vanoni non ha più avuto alcun ruolo nel gruppo Berlusconi già dal 1997. «Io credo — inquadra dunque la questione l'avvocato Corso Bovio — che non possiamo assolutamente sfuggire, anche se in quest'aula oggi non se n'è parlato, dall'entrata in vigore della legge 251 del 2005». E «poiché oggi datiamo 14 dicembre 2005, andando a ritroso sono prescritti tutti i fatti che risalgono ad epoca anteriore al 14 giugno 1998».
...
(12 gennaio 2006)


Legge Gasparri
legge Gasparri, dal nome del ministro all'epoca responsabile della materia, il deputato Maurizio Gasparri, è la legge n. 112 del 3 maggio 2004 - "Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI - Radiotelevisione italiana S.p.A., nonché delega al Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione".

La legge Gasparri è una delle leggi più discusse del Governo Berlusconi II. Si tratta in sostanza di una legge di riforma generale del sistema radiotelevisivo, la terza "legge di sistema" dopo la legge n. 103/1975 e la legge Mammì. La legge Maccanico cerca di rimediare all'insufficiente carenza normativa della legge Mammì per garantire maggiormente il pluralismo esterno.

>>L'iter legislativo<<
La legge, proposta dal ministro delle comunicazioni, Maurizio Gasparri, è stata oggetto di un iter legislativo molto complesso. Approvata dal Parlamento il 2 dicembre 2003, è stata rinviata alle Camere dal Presidente Ciampi il successivo 13 dicembre, con messaggio motivato.

Il messaggio del Presidente ha dei richiami precisi:

  • necessità di fissare un termine più breve per la regolamentazione del digitale terrestre da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (la l. Gasparri cercava di prorogare il termine fissato dalla sent. n. 466/2002 della Corte Costituzionale)
  • la base di riferimento per il calcolo dei ricavi (il c.d. Sistema Integrato delle Comunicazioni) potrebbe consentire, a causa della sua dimensione, a chi ne detenga il 20 per cento di disporre di strumenti di comunicazione in misura tale da dar luogo alla formazione di posizioni dominanti, violando così il pluralismo.

>>La legge definitiva<<
Per quanto riguarda il primo richiamo mosso dal Presidente col suo messaggio, il Governo si è preoccupato di adottare un decreto legge (il c.d. decreto salvareti), che è poi stato convertito in legge dal Parlamento in data 23 febbraio 2004, aspramente criticato perché di fatto calpestava una sentenza della Consulta che ordinava la messa sul satellite di una rete Mediaset e la conseguente perdita di pubblicità su Raitre. Il nuovo testo della legge Gasparri è stato approvato in via definitiva il 29 aprile (dopo 130 sedute e la presentazione di 14000 emendamenti), e promulgato dal Presidente il 3 maggio 2004.

>>Principi della legge<<
La legge Gasparri contiene delle novità:
  • limiti al cumulo dei programmi e alla raccolta di risorse economiche (art. 15):
  • definizione del "SIC" (Sistema Integrato delle Comunicazioni), che comprende stampa quotidiana e periodica; editoria (...) anche per il tramite di Internet; radio e televisione; cinema; pubblicità
  • i soggetti (che sono quelli previsti dall'art.1, co.6, lett. A), num.5 della legge 31 luglio 1997, num. 249) non possono conseguire, né direttamente, né attraverso soggetti controllati, ricavi superiori al 20% dei ricavi complessivi del sistema integrato delle comunicazioni (tale limite corrisponde a circa 26 miliardi di euro, e sostituisce il limite del 30% della l. Maccanico, il quale però corrispondeva a 12 miliardi)
  • lo switch-off del digitale terrestre va realizzato entro il 31 dicembre 2006 (art. 23)
  • differenti titoli abilitativi per lo svolgimento delle attività di operatore di rete o di fornitore di contenuti televisivi o di fornitore di contenuti radiofonici (art. 5)
  • l’autorizzazione non comporta l’assegnazione delle radiofrequenze (art. 5)


>>Critiche alla legge<<
La legge Gasparri è stata criticata per i seguenti motivi:

  • il tetto antitrust definito nel 20% del SIC è stato sì abbassato in misura percentuale rispetto al 30% della l. del 1987 (art 3 lett. B L. 67/1987), ma il valore assoluto di tali percentuali è passato da 12 miliardi di euro di allora a 26 miliardi oggi
  • l'aumento del limite antitrust viola il principio del pluralismo sancito dall'Articolo 21
  • si incentiva ancora di più la pubblicità televisiva, a scapito di quella sulla stampa
  • mancano riferimenti al diritto all'informazione degli utenti
  • la fissazione di una data (31 dicembre 2006) entro cui realizzare le reti digitali terrestri rischia di aprire un altro regime di proroga (rischio concretizzato nel rinvio al 2012 del digitale)
  • ci sarebbe una grave e palese violazione della sentenza 466/2002 della Consulta
  • Mediaset potrebbe avvantaggiarsi più di altri editori rafforzando la sua posizione dominante
  • in generale, un rischio di rafforzamento della figura di Silvio Berlusconi nel campo tv
  • lasciava irrisolti i problemi del piano nazionale delle frequenze



>>Bocciatura dell'UE<<
L'Unione Europea è intervenuta con una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia dove si chiedevano spiegazione sulle storture del sistema radio-tv causate dalla Gasparri; la stessa unione, a luglio 2007 dà 2 mesi di tempo all'Italia per correggere le presunte storture della Gasparri sulla parte relativa al digitale terrestre.

La richiesta di proroga del governo italiano è stata respinta, ciò vuol dire che con le regole in vigore lo Stato Italiano rischia una multa di 300-400 mila euro al giorno.

La multa sarà applicata a partire da gennaio 2009, retroattivamente al 2006, quindi la stima iniziale della multa è tra 328,5 e 438 milioni di Euro.

>>Il nuovo disegno di legge<<
Avvenuta con le elezioni del 2006 il cambiamento della maggioranza, il nuovo ministro Paolo Gentiloni ha presentato un disegno di legge che da un lato fa slittare al 2012 il termine per passare dalla televisione analogica a quella digitale, dall'altra cerca di modificare ampie porzioni della legge Gasparri. Ampie riserve anche su quest'ultimo disegno di legge sono state espresse dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Antonio Catricalà, mentre Corrado Calabrò, presidente dell'Authority per le comunicazioni, spinge per la rapida approvazione.

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PROCESSI GIUDIZIARI (Articolo completo: http://www.ilcannocchiale.it/blogs/allegati/FEDINE_PENALI.pdf )
Berlusconi Silvio (FI): 2 amnistie (falsa testimonianza P2 e falso in bilancio Macherio); 1 assoluzione dubitativa (corruzione Gdf, falso bilancio Medusa); 1 assoluzione piena (corruzione giudici Sme-Ariosto); 2 assoluzioni per depenalizzazione del reato da parte dello stesso imputato (falsi in bilancio All Iberian, Sme-Ariosto); 8 archiviazioni (6 per mafia e riciclaggio, 2 per concorso in strage); 6 prescrizioni (finanziamento illecito a Craxi con All Iberian; falso in bilancio Macherio; falso in bilancio e appropriazione indebita Fininvest; falso in bilancio Fininvest occulta; falso in bilancio Lentini; corruzione giudiziaria Mondadori); 3 processi in corso: Telecinco (falso bilancio, frode fiscale, violazione antitrust spagnola), caso Mills (corruzione giudiziaria), diritti Mediaset (appropriazione indebita, falso bilancio, frode fiscale), Saccà (corruzione); 1 indagine in corso (istigazione alla corruzione di alcuni senatori).

Tutti i procedimenti giudiziari a carico di Silvio Berlusconi: http://it.wikipedia.org/wiki/Procedimenti_giudiziari_a_carico_di_Silvio_Berlusconi

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Berlusconi, Dell'Utri e le stragi di Mafia del '92


Il video su presente si riferisce alle dichiarazioni di pentiti di mafia relative alla stragi di Capaci e Via d'Amelio, che rappresentano i luoghi in cui furono assassinati rispettivamente Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Verranno iscritti nel registro degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri come mandanti delle stragi:

  • Dalle dichiarazioni del collaboratore Salvatore Cancemi
  • Dalle dichiarazioni di Cannella, La Barbera, Pennino, Siino e Brusca
  • Dai verbali relativi ai rapporti gestiti da Vittorio Mangano, prima, e da Salvatore Riina, poi, con i vertici del circuito societario Fininvest
  • Dagli esiti delle indagini della Dia e del Gruppo Falcone e Borsellino
Il 3 maggio 2002 il fascicolo viene archiviato perché il quadro indiziario risulta friabile. Ma "gli atti del fascicolo hanno ampiamente dimostrato la sussistenza di varie possibilità di contatto tra gli uomini appartenenti a "Cosa Nostra" ed esponenti e gruppi societari controllati in vario modo dagli odierni indagati". Quell'atto non venne però firmato da uno dei pm che si era occupato delle inchieste e dei processi sulle stragi, Luca Tescaroli, contrario alle impostazioni della richiesta di archiviazione, soprattutto nella parte in cui si sostiene che le dichiarazioni dei principali pentiti della strage, Cancemi e Brusca, erano "contrastanti".

Una tesi che è stata confermata anche nella sentenza d'appello della strage di Capaci dove i giudici scrissero tra l'altro che le dichiarazioni di Brusca e Cancemi erano "convergenti" e che era necessario indagare ancora "nelle opportune direzioni per individuare i convergenti interessi di chi era in rapporto di reciproco scambio con i vertici di Cosa nostra".

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Estratto del "decreto di archiviazione del Gip di Caltanissetta nel procedimento contro Berlusconi-Dell'Utri per le stragi di Mafia del 1992"(fonte: http://www.sgmontopoli.it/varie/berlu/archiv/arch1.html)

>>Origine del presente procedimento<<
Il presente procedimento è stato avviato sulla base delle risultanze investigative emerse in altre indagini contro ignoti relative agli attentati nei quali sono stati uccisi i magistrati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e i rispettivi uomini delle loro scorte.

In particolare in data 22/7/1998, il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta disponeva con articolato provvedimento l’iscrizione nel registro degli indagati di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri in base ad una serie di risultanze che delineavano una notizia di reato a loro carico, quali mandanti delle stragi di Capaci e di via D’Amelio.

I dati che hanno legittimato tale decisione del Procuratore in sede sono richiamati nello stesso provvedimento di iscrizione e si ricavano dai verbali di interrogatorio del collaboratore Salvatore Cancemi inerenti a "persone importanti" che avrebbero concorso a decidere l’eliminazione fisica di Falcone e Borsellino in maniera eclatante nell’ambito di una più articolata "strategia terroristica" di "cosa nostra", nonché nei verbali relativi ai rapporti gestiti da Vittorio Mangano, prima, e da Salvatore Riina, poi, con i vertici del circuito societario Fininvest.

Ma oltre ad essi - ad avviso del P.M. - conducevano verso l’ipotesi investigativa di un coinvolgimento di Berlusconi e Dell’Utri anche le dichiarazioni di Tullio Cannella e di Gioacchino La Barbera in relazione a contatti di "cosa nostra" con imprenditori del nord e ad un interessamento della stessa organizzazione per l’installazione di un ripetitore per l’emittente Canale 5; le dichiarazioni di Gioacchino Pennino ed Angelo Siino sui personaggi che avevano avuto interesse ad eliminare i due magistrati, oramai assai attenti a delineare i rapporti tra mafia ed imprenditoria; ed infine gli esiti delle investigazioni svolte dalla DIA e dal Gruppo "Falcone e Borsellino" che avevano aperto prospettive di approfondimento in ordine ai rapporti di Berlusconi e dell’Utri con l’organizzazione "cosa nostra".

Il P.M. quindi formava un nuovo fascicolo ed iscriveva gli odierni indagati, per ragioni di segretezza, con le sigle "alfa" e "beta".

Già la Procura della Repubblica di Firenze aveva disposto l’iscrizione di Berlusconi e Dell’Utri, sotto le sigle "Autore 1" e "Autore 2", in un procedimento relativo a fatti di strage commessi a Roma, Firenze e Milano dal maggio 1993 all’aprile 1994, considerati rientranti in un unico disegno che avrebbe previsto una "campagna stragista continentale avente come obiettivo strategico (anche) quello di ottenere una revisione normativa che invertisse la tendenza delle scelte dello Stato in tema di contrasto della criminalità mafiosa" (cfr. richiesta di proroga dei termini delle indagini formulata dal P.M. fiorentino in data 22/7/1997), ed in particolare:

  • la strage di via Fauro a Roma (attentato a Maurizio Costanzo) il 14/5/1993;
  • la strage di via de’ Georgofili di Firenze (attentato agli Uffizi) il 27/5/1993;
  • la strage di via Palestro a Milano (attentato al Padiglione di Arte Contemporanea) il 27/7/1993;
  • le stragi di san Giorgio al Velabro e di San Giovanni in Laterano a Roma il 28/7/1993;
  • la strage dello stadio Olimpico di Roma tra gli ultimi del 1993 ed i primi del 1994;
  • la strage di Formello-Roma (attentato a Salvatore Contorno) il 14/4/1994.
Nel corso di quelle indagini erano stati acquisiti diversi elementi che avvaloravano l’ipotesi di un’unitaria strategia dell’organizzazione mafiosa finalizzata a condizionare le scelte di politica criminale dello Stato e a ricercare nuovi interlocutori da appoggiare nelle competizioni elettorali.

Va ricordato che il P.M. di Firenze in data 7/8/1998 aveva chiesto al GIP territoriale l’archiviazione del procedimento, concludendo, a seguito di complesse indagini, che non erano stati acquisiti elementi certi in ordine al fatto che l’interlocutore politico di "cosa nostra" in quel periodo avesse partecipato all’"accordo", intervenuto all’interno dell’organizzazione, al fine di attuare la grave offensiva militare degli anni 1992-1994.

Il GIP di Firenze ha accolto la richiesta con provvedimento in data 14/11/1998, rilevando che "le indagini svolte hanno consentito l’acquisizione di risultati significativi solo in ordine all’avere cosa nostra agito a seguito di inputs esterni, a conferma di quanto già valutato sul piano strettamente logico; all’avere i soggetti (cioè gli odierni indagati, n.d.r.) di cui si tratta intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista realizzato, all’essere tali rapporti compatibili con il fine perseguito dal progetto". Concludeva tuttavia che, sebbene "l’ipotesi iniziale abbia mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità", gli inquirenti non avevano "potuto trovare - nel termine massimo di durata delle indagini preliminari - la conferma delle chiamate de relato e delle intuizioni logiche basate sulle suddette omogeneità".

Mentre si chiudeva l’indagine dell’Ufficio requirente di Firenze, prendeva le mosse quella avviata dalla Procura di Caltanissetta.
In data 26/8/1999 veniva concessa da questo Ufficio la proroga del termine delle indagini preliminari per sei mesi, poiché alcuni accertamenti di particolare complessità erano ancora in corso.
In data 29/2/2000, veniva concessa altra proroga del termine delle indagini per ulteriori sei mesi in considerazione dell’esigenza di completare ulteriormente le investigazioni.
Il termine per le investigazioni scadeva il 23/7/2000.
In data 2/3/2001, il P.M. in sede depositava presso questo Ufficio la richiesta di archiviazione del procedimento e contestualmente trasmetteva i 21 faldoni che contenevano gli atti di indagini.

Dopo che - com’è notorio - tutti gli organi di stampa avevano dato notizia di tale determinazione del P.M., in data 22/3/2001 il difensore di Silvio Berlusconi chiedeva a questo Ufficio il rilascio di copia della richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura in sede nel presente procedimento, facendo riferimento ad "un’attestazione ricevuta in data 1/3/2001 che si allega in copia".

La richiesta del predetto difensore veniva dal G.I.P. trasmessa al P.M. perché fornisse il suo parere in considerazione del fatto che la stessa Procura aveva disposto la secretazione dei nominativi degli indagati, pure mantenuta al momento del deposito della richiesta di archiviazione.

In relazione a tale ultimo profilo, il G.I.P. dava atto che i plichi contenenti il provvedimento di iscrizione e contestuale secretazione (dai quali si ricavano le effettive generalità dei soggetti sottoposti ad indagine), nonché le richieste e i decreti di proroga delle indagini preliminari, risultavano già aperti al momento del deposito della richiesta di archiviazione e del fascicolo nella Cancelleria dell’Ufficio.

Il G.I.P. dava altresì atto che, a differenza di quanto asserito dal difensore richiedente, non era stata allegata all’istanza la copia dell’attestazione della Procura in sede in data 1/3/2001 che lo avrebbe ufficialmente informato del deposito della richiesta di archiviazione. La data dell’1/3/2001 peraltro è antecedente a quella di deposito della richiesta di archiviazione presso questo Ufficio (deposito, come si è detto, avvenuto il 2/3/2001).

Il P.M. forniva parere favorevole e aggiungeva che l’apertura dei plichi era stata dovuta "alla verifica di corrispondenza tra il numero di iscrizione e i soggetti" e che, quanto all’attestazione richiamata dal difensore ma non prodotta, "si tratta di mera comunicazione orale, da parte della Segreteria, previa autorizzazione".

In data 23/3/2001 questo Ufficio rilasciava copia della richiesta di archiviazione al difensore di Berlusconi, dando atto che, sulla base alle spiegazioni fornite dal P.M. nel suo parere, le esigenze di riservatezza che lo avevano indotto a secretare i nominativi degli indagati potevano ritenersi del tutto superate.

E’ fatto notorio che tra il 27/3/2001 ed i giorni successivi la stampa ha fornito ampia contezza dei contenuti della richiesta di archiviazione con espliciti riferimenti ai nominativi degli odierni indagati.

Alla luce di tutte le predette circostanze e del fatto che la maggior parte delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia agli atti sono state rese in pubblici dibattimenti, appare chiaramente superfluo nel presente provvedimento utilizzare le sigle convenzionali attribuite dal P.M. agli odierni indagati per mantenerne riservata l’identità; pertanto costoro saranno sempre indicati con i loro nominativi e le loro generalità.


Estratto del "decreto di archiviazione del Gip di Caltanissetta nel procedimento contro Berlusconi-Dell'Utri per le stragi di Mafia del 1992"(fonte:http://www.sgmontopoli.it/varie/berlu/archiv/arch15.html)
>>Le indagini su Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi<<
...
Il P.M. ha evidenziato nella sua richiesta di archiviazione che su questi rapporti di affari e su queste cointeressenze si è spostata l’attenzione del suo Ufficio al fine di individuare i mandanti c.d. "esterni" delle stragi del 1992. Lasciando al P.M. le valutazioni di sua competenza in ordine all’utilità di tali dati per individuare eventuali ulteriori piste investigative diverse da quelle sinora perseguite, rileva l’Ufficio che tali accertati rapporti di società facenti capo al gruppo Fininvest con personaggi in varia posizione collegati all’organizzazione "cosa nostra" costituiscono dati oggettivi che - in uno agli altri elementi relativi ai contatti e alle frequentazioni di Dell’Utri con esponenti della stessa cosca - rendono quantomeno non del tutto implausibili nè peregrine le ricostruzioni offerte dai diversi collaboratori di giustizia, esaminate nel presente procedimento, in base alle dichiarazioni dei quali si è ricavato che gli odierni indagati erano considerati facilmente contattabili dal gruppo criminale; vi è insomma da ritenere che tali rapporti di affari con soggetti legati all’organizzazione abbiano quantomeno legittimato agli occhi degli "uomini d’onore" l’idea che Berlusconi e Dell’Utri potessero divenire interlocutori privilegiati di "cosa nostra". A ciò si aggiunga che altri soggetti comunque legati al gruppo Fininvest avevano intrattenuto rapporti di affari con personaggi di "cosa nostra" (sul punto si fa richiamo ai numerosi atti contenuti nei faldoni 4/A1, 4/A5, 4/A6, relativi a Massimo Maria Berruti, la persona che secondo Siino avrebbe fatto da intermediario con Berlusconi per una delle trattative finalizzate a propugnare una legislazione più favorevole a "cosa nostra"). Infine il gruppo Fininvest, nella sua progressiva espansione nel settore televisivo, incorporò tra l’aprile e il novembre del 1991 ben cinque società che avevano sede a Palermo ("Rete Sicilia s.r.l.", la già citata "Sicilia Televisiva s.p.a", "Sicil Tele s.r.l.", "Trinacria TV s.r.l.", "CRT Sicilia Color s.r.l."; cfr. nota della DIA in data 15/3/2000); la circostanza rende pure plausibile che "cosa nostra", in quel periodo fortemente radicata sul territorio e certamente capace di condizionare le attività economiche in esso operanti, non rimanesse inerte dinanzi all’avanzare di una realtà imprenditoriale di quelle proporzioni, perlopiù facente capo ad un gruppo nel quale si muovevano soggetti già considerati facilmente avvicinabili in forza di pregressi rapporti. Vi è poi la vicenda relativa agli attentati alla "Standa", in relazione ai quali discordanti sono state le notizie fornite dai collaboratori; tutti d’accordo nell’indicare come essi perseguissero finalità estorsive, secondo alcuni di costoro ulteriore scopo era quello di promuovere un contatto con Berlusconi o con Dell’Utri da utilizzare anche per ottenere sostegno agli interessi dell’associazione. Brusca ha escluso invece tale ulteriore finalità e, sebbene sui tentativi di "cosa nostra" di avviare relazioni con gli odierni indagati egli sia apparso a questo Ufficio reticente, non si può escludere che sul punto le sue affermazioni siano veritiere. Difatti, delle due l’una: o Berlusconi e Dell’Utri versavano già da tempo a "cosa nostra" dei contributi, come molti collaboratori hanno riferito, e allora il rapporto già sussisteva e non era necessario propiziarlo con altre iniziative, oppure non vi era alcun rapporto pregresso (pertanto le convergenti dichiarazioni dei collaboratori non sarebbero credibili) e allora gli attentati di Catania potevano essere utili. Si propone una terza alternativa, che nella contraddittorietà delle indicazioni dei collaboratori rimane solo un’ipotesi; e cioè che gli attentati dovessero servire a fare maggiore pressione su Berlusconi e dell’Utri, ad alzare insomma la "posta" e a coinvolgere con un ruolo di rilievo anche le cosche catanesi. Va comunque segnalato che, come riferito dalla DIA nella nota del 6/12/1999, non è stato possibile acquisire "elementi utili aventi carattere esaustivo" in ordine ai viaggi aerei effettuati da Marcello Dell’Utri tra Milano e Catania nel periodo in cui si sarebbe dovuto incontrare (a Catania o, secondo Avola, a Messina) per discutere delle richieste degli uomini di "cosa nostra".

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