Editto bulgaro (Articolo completo di relative fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Editto_bulgaro)
La locuzione editto bulgaro (chiamato anche editto di Sofia, diktat bulgaro o ukase bulgaro) è utilizzata nel dibattito politico italiano per indicare la serie di vicende seguite a una dichiarazione rilasciata il 18 aprile 2002 dall'allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, durante una conferenza stampa in occasione di una visita ufficiale a Sofia, dichiarazione ribattezzata poi, dal giornalista Simone Collini de L'Unità, "diktat bulgaro".

Nella dichiarazione, Berlusconi, denunciò quello che, a suo dire, era stato un «uso criminoso» della tv pubblica da parte dei giornalisti Enzo Biagi e Michele Santoro e dell'autore satirico Daniele Luttazzi, affermando successivamente che sarebbe stato «un preciso dovere della nuova dirigenza» RAI non permettere più il ripetersi di tali eventi.

L'affermazione venne interpretata dall'opposizione e da una parte dell'opinione pubblica, come un auspicio per l'allontanamento dei tre dalla RAI; che lo fosse o meno, i tre effettivamente dopo poco non lavoreranno più nella RAI alla quale solo Santoro e Biagi hanno fatto ritorno a diversi anni di distanza (Luttazzi è riapparso in RAI solo per una intervista invitato da Enzo Biagi nel suo ultimo programma televisivo RT).

>>La dichiarazione<<
La fortuna di tale formula espressiva (editto o diktat bulgaro), che l'ha resa così atta alla comunicazione politico giornalistica fino a consolidarla come una vera e propria frase fatta di largo uso nella discussione politica, è certamente legata alla sua innegabile potenza espressiva: i sostantivi "editto" e "diktat" sono utilizzati con l'intento di evocare l'idea di un'imposizione dall'alto o, per il riferimento ad un sistema dittatoriale, di instaurare un parallelismo tra la vicenda e le azioni di controllo e censura della stampa compiute dalla dittatura bulgara sotto il regime Sovietico, così da rafforzare le critiche mosse al governo Berlusconi di attuare politiche di regime. Ciò in quanto, fra l'altro, Silvio Berlusconi era già detentore dell'unico polo televisivo privato di rilievo in Italia.

La dichiarazione originale fu:
« L'uso che Biagi, come si chiama quell'altro...? Santoro, ma l'altro... Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga. »
(Silvio Berlusconi, 18 aprile 2002)

La dichiarazione venne immediatamente accolta dall'opposizione come un'intrusione dell'esecutivo nelle decisioni del neoeletto CdA della RAI, allo scopo di allontanare dalla televisione pubblica i giornalisti Enzo Biagi e Michele Santoro ed il comico Daniele Luttazzi. Biagi, Santoro e Luttazzi erano già stati accusati più volte in precedenza dallo stesso Berlusconi di manifesta partigianeria e di aver portato avanti una campagna di attacchi personali verso di lui con un uso indebito del canale pubblico, perfino in campagna elettorale a ridosso delle elezioni del 2001. Secondo tale corrente di pensiero è difficile non leggere le dichiarazioni di Berlusconi ed i conseguenti avvenimenti come un attacco alla libertà di stampa e una subordinazione della RAI al governo, con compromissione della sua funzione di TV di pubblico servizio.

Tale interpretazione della dichiarazione quale ingerenza venne successivamente rafforzata nell'opinione pubblica dopo l'effettiva sospensione dei programmi Sciuscià, Il Fatto e Satyricon, che realizzava di fatto l'allontanamento dei tre personaggi dal video entro pochi mesi dalla dichiarazione incriminata.

L'allontanamento suscitò immediatamente accese critiche in quanto i tre, pur non avendo mai nascosto la loro posizione critica nei confronti del governo Berlusconi, riscuotevano ugualmente una notevole popolarità e i loro programmi ottenevano buoni risultati in termini di share. Inoltre quanto affermato durante le loro trasmissioni non è mai stato contestato nella sostanza: in tutte le cause intentate contro di loro, i diversi giudici hanno riconosciuto che le loro affermazioni erano contingenti e tutte basate su fatti veri.

In realtà, pur essendo questa la prima volta che l'ingerenza politica arrivava così apertamente, in RAI si sono più volte verificati allontanamenti ed interruzioni di trasmissioni per motivi politici.

Ad anni di distanza, nel corso della trasmissione Porta a Porta condotta da Bruno Vespa, Berlusconi asserì che «Quando, a Sofia, ho parlato di Biagi, Santoro e Luttazzi, non pensavo che fossero presenti giornalisti. Altrimenti mi sarei attenuto ad un linguaggio ufficiale». In effetti la frase era stata però pronunciata in una conferenza stampa davanti a duecento giornalisti internazionali al termine di una visita ufficiale alle autorità bulgare, ma né il conduttore né i tre direttori di giornale presenti intervennero per ricordarlo.

>>Il caso Santoro<<
La decisione di sospendere il programma Sciuscià e di non impiegare Michele Santoro nel palinsesto autunnale, venne adottata dopo la seduta del CdA RAI del 30 ottobre 2002, conseguentemente a un procedimento disciplinare interno aperto nei confronti del giornalista per i contenuti di due puntate delle sue trasmissioni: "Sciuscià Edizione Straordinaria" (24 maggio 2002) e un reportage di Sciuscià del 5 agosto 2002.

Dal settembre 2002 la collaborazione di Santoro con la RAI fu sospesa e non più ripresa, e il programma venne sostituito da Excalibur condotto da Antonio Socci, accusato a sua volta di tenere una condotta faziosa di sostegno a Berlusconi e ostile nei confronti dell'opposizione; tale programma fu caratterizzato, per tutta la sua durata, da ascolti molto più bassi rispetto a quelli di Sciuscià.

Nel giugno 2003, relativamente alla causa di lavoro intentata dal giornalista, il tribunale di Roma emanò un'ordinanza in cui impose alla RAI un risarcimento a beneficio di Santoro e il riaffido a quest'ultimo della conduzione di un programma «di approfondimento giornalistico a puntate collocato in prima o in seconda serata con dotazione delle risorse umane, materiali e tecniche, idonee ad assicurare la buona riuscita di esso, in misura equivalente a quella praticata per i programmi precedenti», ordinanza mai recepita, neppure successivamente a un richiamo dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che invitava la RAI «al rispetto dei principi di pluralismo, obiettività, completezza ed imparzialità». La disputa tra la televisione pubblica italiana e Santoro si è protratta fino al 26 gennaio 2005.

Oltre ad un'estemporanea apparizione nella prima puntata del programma televisivo Rockpolitik, condotto da Adriano Celentano, Santoro ha poi ripreso l'attività di conduttore sulla RAI con il programma Anno zero, andato in onda su Rai Due a partire dal 14 settembre 2006.

>>Il caso Luttazzi<<
(Per approfondimenti, vedi la voce Intervista di Marco Travaglio a Satyricon)
La sospensione del programma Satyricon, condotto da Daniele Luttazzi, avvenne nel dicembre 2002 e lo stesso venne sostituito con il programma Bulldozer, contenitore di esibizioni di diversi comici presentato da Federica Panicucci.

Come motivazioni ufficiali delle sospensioni dei programmi di Biagi e Luttazzi furono avocate necessità di revisione dei palinsesti per rendere la RAI competitiva nei confronti della concorrenza, che nelle stesse fasce orarie trasmetteva programmi di successo come Striscia la Notizia. Per quanto riguarda in particolare Satyricon la sospensione era inoltre giustificata, secondo alcuni, come conseguenza delle continue polemiche che avevano coinvolto la trasmissione: nel corso di una puntata Luttazzi aveva infatti annusato un paio di slip indossati dall'attrice Anna Falchi, ospite del programma, mentre in un'altra aveva simulato la coprofagia.

Secondo Luttazzi il vero motivo della sospensione della trasmissione da lui condotta andava, invece, ricercato nel fatto di aver ospitato nel corso di una delle puntate del programma, andata in onda nel corso della campagna elettorale per le elezioni politiche italiane del 2001, il giornalista Marco Travaglio il quale nel corso dell'intervista aveva, tra l'altro, presentato le tesi contenute nel proprio libro sull'origine ignota dei capitali con i quali Berlusconi aveva iniziato la sua attività imprenditoriale. Daniele Luttazzi si riferisce alla vicenda, nei suoi pezzi che la riguardano, come "ukase bulgaro".

Luttazzi tornerà in televisione solo nel 2007 come conduttore della trasmissione Decameron in onda su La7, sospeso dalla programmazione della stessa emittente televisiva nel dicembre 2007 apparentemente a causa di una battuta sarcastica del comico ai danni di Giuliano Ferrara.

Il lancio del programma fu preceduto da uno spot in cui, alla proposta di Santoro di un "contro-ukase" da parte di Prodi o di D'Alema, il comico romagnolo rispondeva sarcasticamente: "Troppo tardi!", sottintendendo che sarebbe sì tornato in TV, ma non in RAI (cosa che Santoro auspicava).

La "ragione ufficiale" del siluramento sarebbe riferibile ad una battuta del comico, dove nella puntata del programma Decameron del 1 dicembre 2007 (il licenziamento è avvenuto una settimana dopo, in occasione di una replica), si parlava di Berlusconi e della guerra in Iraq in questi termini con le sue migliaia di morti: «Ha avuto il coraggio di dire che lui, in fondo, era contrario alla guerra in Iraq». Si è allora chiesto il comico: «Come si fa a sopportare una cosa del genere?». E si è dato una risposta lieve e ironica... Ha spiegato di avere «un proprio sistema»: pensare «a Giuliano Ferrara dentro la vasca da bagno», mentre nella di lui bocca compiono atti fecali, Berlusconi, Dell'Utri, Previti e pure la Santanchè sul finale in versione sadomaso. Secondo Luttazzi è plausibile che la sospensione sia in realtà da imputare all'aver registrato una puntata, la cui messa in onda era prevista per l'8 dicembre, comprendente un monologo di 20 minuti in cui criticava e satireggiava l'enciclica di Benedetto XVI Spe salvi. Inoltre, secondo Marco Travaglio, che l'ha riferito domenica 9 dicembre 2007 a Crozza Italia, trasmessa da La7, l'emittente avrebbe cancellato sia le registrazioni delle cinque puntate trasmesse, sia quelle che sarebbero state inserite nelle puntate future. La direzione de La7, durante la trasmissione stessa, ha però smentito la notizia.

>>Il caso Biagi<<
Biagi decise di replicare la sera stessa dell'editto nella puntata de Il Fatto, dichiarando:
« Il presidente del Consiglio non trova niente di meglio che segnalare tre biechi individui: Santoro, Luttazzi e il sottoscritto. Quale sarebbe il reato? [...] Poi il presidente Berlusconi, siccome non intravede nei tre biechi personaggi pentimento e redenzione, lascerebbe intendere che dovrebbero togliere il disturbo. Signor presidente, dia disposizioni di procedere perché la mia età e il senso di rispetto che ho verso me stesso mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri [...]. Sono ancora convinto che perfino in questa azienda (che come giustamente ricorda è di tutti, e quindi vorrà sentire tutte le opinioni) ci sia ancora spazio per la libertà di stampa; sta scritto - dia un'occhiata - nella Costituzione. Lavoro qui in RAI dal 1961, ed è la prima volta che un Presidente del Consiglio decide il palinsesto [...]. Cari telespettatori, questa potrebbe essere l'ultima puntata del Fatto. Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci. »


Le trasmissioni de Il Fatto proseguirono regolarmente fino alla prima settimana di giugno quando terminò la stagione. La dirigenza RAI decise di cancellare il programma, dopo un lungo tira e molla cominciato già a gennaio, cioè prima dell'editto bulgaro, quando il direttore generale di Rai Uno, Agostino Saccà, si recò alla commissione parlamentare di vigilanza. Egli dichiarò che l'azienda doveva controbattere Striscia la notizia e non poteva permetterselo con una trasmissione di cinque minuti che aveva conosciuto nell'ultimo periodo un calo di 3-4 punti di share. La dichiarazione fu contestata dai commissari del centro-sinistra, durante l'audizione, perché i dati Auditel dichiaravano che il Fatto aveva uno share del 27,92% di media, quasi otto milioni di telespettatori, addirittura superiore alla quota dell'anno prima, che aveva una media del 26,22%.

In seguito, il 17 aprile, furono diffuse le nuove nomine della RAI. Rai Uno venne affidata a Fabrizio Del Noce, in quota Forza Italia, che dichiarò che stava studiando «una soluzione idonea per il Fatto e per Enzo Biagi».

Successivamente, Saccà e Del Noce proposero a Biagi diverse soluzioni alternative per la collocazione de Il Fatto: alle 13:00, dopo il Tg1 delle 12:30 (ipotesi respinta da Biagi: «È troppo presto per approfondire adeguatamente i fatti del giorno»), poi alle 19:50 (ipotesi respinta anche questa: «Peggio della prima! È assurdo fare l'approfondimento prima della notizia»).

Del Noce non confermò alla stampa la presenza del Fatto nei palinsesti, non ancora definitivi per la nuova stagione 2002-2003 e diffusi a maggio. Biagi scrisse al nuovo presidente della RAI, Antonio Baldassarre, già membro della Corte Costituzionale, chiedendo spiegazioni sul suo futuro e se la RAI intendesse rinnovare il suo contratto in scadenza a dicembre. Baldassarre, presentandosi ai telespettatori come «un punto di riferimento per la libertà dentro la RAI», rispose a Biagi che «è e rimarrà una risorsa per l'azienda», facendosi intervistare proprio al Fatto.

Un mese dopo, durante la tradizionale presentazione a Cannes dei palinsesti autunnali della RAI, il Fatto era assente. Alle domande dei giornalisti, la RAI rispose che «Biagi aveva perso appeal».

Il 2 luglio si tenne un incontro fra Enzo Biagi, il regista del Fatto Loris Mazzetti, Fabrizio Del Noce e Agostino Saccà, che era diventato nel frattempo direttore generale della RAI. In questo vertice si decise di sopprimere Il Fatto e di affidare a Biagi una trasmissione in prima serata, con inchieste e temi d'attualità. Inoltre si decise di rinnovare il contratto che legava Biagi alla RAI.

La bozza del contratto arrivò a Biagi solo il 18 settembre, dopo ripetute sollecitazioni da parte di quest'ultimo. Intanto Il Fatto era stato sostituto da un programma comico, con Tullio Solenghi e Massimo Lopez, "Max e Tux". Il nuovo programma precipitò ben presto dal 27 al 18% di share. Del Noce imputò a Biagi il crollo degli ascolti perché «col suo vittimismo ha scatenato verso Rai Uno un accanimento senza precedenti». Biagi decise di lasciare Rai Uno e intavolò, con la mediazione sempre di Loris Mazzetti, trattative con il direttore generale di Rai Tre, Paolo Ruffini, per riprodurre Il Fatto sulla sua rete alle 19:53, dopo il Tg3 e i telegiornali regionali. Alla diffusione della notizia, il presidente RAI Baldassarre dichiarò: «É una bella notizia, ma troppo costosa per Rai Tre».

Il 20 settembre Biagi, in una lettera al direttore generale Saccà, scrisse che se la RAI aveva ancora bisogno di lui (come dichiarato dallo stesso dg) e se questo ostacolo era rappresentato da problemi economici, egli si dichiarava pronto a rinunciare al suo stipendio, accettando quello dell'ultimo giornalista della RAI, purché detto stipendio venisse inviato al parroco di Vidiciatico, un paesino sperduto nelle montagne bolognesi, che gestiva un ospizio per anziani rimasti soli.

Saccà replicò, con una lettera al quotidiano La Repubblica (che stava dando grande risalto alla vicenda), che il programma non poteva essere trasmesso per esigenze pubblicitarie.

Il 26 settembre Saccà inviò ad Enzo Biagi una raccomandata con ricevuta di ritorno, in cui gli spiegava, con toni formali, che Il Fatto era sospeso, così come le trattative fra lui e la RAI; si sarebbe trovato il tempo più in là per fare un nuovo programma, magari dai temi più leggeri.
« Il direttore generale Saccà mi ha mandato la disdetta del contratto con ricevuta di ritorno, che è la cosa che mi offende di più. Io sono stato licenziato con ricevuta di ritorno, perché magari potevo dire "non lo sapevo... ma guarda, mi hanno cacciato via e non me n'ero neanche accorto!". E dalla dirigenza della RAI non ho mai più sentito nessuno. »
(Enzo Biagi dal film Viva Zapatero!)

Pur non essendo il solo metodo possibile, la raccomandata con ricevuta di ritorno è il metodo più frequentemente utilizzato per comunicazioni di questo genere per gli effetti probatori dell'effettiva ricezione della comunicazione stessa ottenuti per mezzo della ricevuta di ritorno.

Biagi, esausto per quell'interminabile tira e molla, offeso per i contenuti di quella raccomandata che secondo la sua interpretazione «lo cacciava ufficialmente dalla RAI», su consiglio delle figlie e di alcuni colleghi, decise di non rinnovare il contratto e di chiudere il legame fra Biagi e la RAI, con una transazione economica, curata dall'avvocato milanese, Salvatore Trifirò. La RAI riconobbe il lungo lavoro di Biagi "al servizio dell'azienda" e pretese che in cambio non lavorasse per nessun'altra rete nazionale per almeno due anni.

L'annuncio della chiusura del contratto provocò polemiche su tutti i giornali e attacchi durissimi ai dirigenti RAI, già sotto assedio per il crollo degli ascolti (che avevano provocato le dimissioni di tre dei cinque membri del Cda). Saccà e Baldassare dichiararono ai giornali che «Biagi non era stato mandato via», che quella era solo un'invenzione dei giornalisti, che Enzo Biagi era il presente, il passato e il futuro della RAI, che «la presenza di voci discordanti dall'attuale maggioranza, com'è appunto quella di Biagi, era fondamentale». Di fronte a queste levate di scudo, Biagi commentò con: «Ma, se allora tutti mi volevano, chi mi ha mandato via?».

Poco dopo, il consigliere d'amministrazione RAI Marcello Veneziani, vicino ad Alleanza Nazionale, dichiarò che Biagi con «quella chiusura del contratto, aveva svenato l'azienda e quindi la smettesse di piagnucolare a destra e a sinistra». Biagi allora rese pubblico il suo contratto di chiusura. La sua liquidazione è la stessa cifra che, successivamente, un giudice stabilirà come risarcimento per Michele Santoro.

Il fatto fu sostituito prima con Max & Tux, una serie di sketch comici muti interpretati da Massimo Lopez e Tullio Solenghi per la regia di Giuseppe Moccia (il Pipolo di Castellano e Pipolo) e Carlo Corbucci: il programma, in onda per alcune settimane, ebbe ascolti ben inferiori a quello di Biagi il che portò, contrariamente agli asseriti obiettivi che avevano portato alla chiusura del programma di Biagi da parte dell'ente radiotelevisivo pubblico, ad un conseguente record di ascolti per Striscia la Notizia. In un'intervista relativa allo scarso successo del programma (che comunque raggiunge picchi di 6/7 milioni di ascoltatori) e alle critiche che ne erano seguite, lo stesso Solenghi ammise che "Striscia viaggia sui nove [milioni di ascoltatori]. Ma Striscia è una corazzata, nessuno di noi aveva l'ambizione di porsi alla pari". Dopo l'esordio del programma Biagi dichiarò che
« Per ora la situazione è piuttosto incerta e ferma: la RAI può proporre e anche comandare ma non e' detto che uno debba accettare ... Mi hanno proposto il venerdì in seconda serata cioè quando tutti sono già partiti per il week end. Mi chiedo perché dovrei accettare dopo tutte le prime serate di successo che abbiamo fatto. D'altra parte quello che non andava è stato già detto in Bulgaria: e infatti né io né Santoro siamo in onda. Personalmente non sono un uomo per tutte le stagioni, non è obbligatorio andare in onda »
(Dichiarazioni di Enzo Biagi il giorno successivo al primo episodio di Max & Tux)

In seguito quella fascia oraria fu occupata per un breve periodo da La zingara, quiz condotto da Cloris Brosca, dal dicembre 2002 da Il Castello condotto alternativamente da Pippo Baudo, Carlo Conti e Mara Venier e, infine, nell'autunno del 2003, da Affari tuoi, programma che registrò un notevole successo tanto da divenire poi uno dei programmi di punta della rete, in grado di battere anche la concorrenza.

Cinque anni dopo i fatti, nel 2007 Biagi ritornò in RAI con il programma RT-Rotocalco Televisivo. A sorpresa Berlusconi in un'intervista del 23 aprile elogiò il nuovo programma augurando una lunga permanenza in RAI. Fece parziale marcia indietro su quanto accaduto anni prima dichiarando:
« Io non ho mai detto che Biagi e gli altri non dovessero continuare in RAI. Io ho detto che non dovevano utilizzare la RAI per fare trasmissioni faziose. Forse ho calcato la mano ma il servizio pubblico è pagato da tutti, anche da chi non la pensa come Biagi o gli altri. »
(Silvio Berlusconi, intervista a Radio anch'io)

All'indomani della morte di Enzo Biagi, avvenuta nel novembre del 2007, Berlusconi ha inoltre dichiarato di aver solo voluto esercitare un diritto di critica sull'utilizzo della tv pubblica e che «Non c'era nessuna intenzione di far uscire dalla televisione e neppure di porre veti alla permanenza in tv di chicchessia». Non si è fatta attendere la replica di Bice Biagi, figlia del giornalista scomparso, la quale ha tenuto a precisare che: «L'editto bulgaro? Certo che c'è stato, c'è qualcuno che ogni tanto ha delle botte di amnesia, mentre mio padre è stato lucido fino alla fine. Il ritorno in RAI è stato l'ultimo regalo che gli ha fatto qualcun'altro che si è mosso».

Più recentemente nel 2008 Berlusconi è tornato sull'argomento, dichiarando:
« Mi sono battuto perché Enzo Biagi non lasciasse la televisione, ma alla fine prevalse in Biagi il desiderio di poter essere liquidato con un compenso molto elevato».